C’è da sperare che i cattolici, in alleanza con altri interessati a rimuovere il bipopulismo, vogliano ripartire dal basso per una lunga marcia di rigenerazione. Il rinnovamento della politica si gioca con il ripristino sistema partecipativo per riorentare il sistema dei partiti allo spirito costituzionale. Il commento di Raffaele Bonanni
Nell’approssimarsi delle scadenze elettorali, ecco che puntualmente i politologi e commentatori politici in genere si chiedono dove sono i cattolici, cosa intendono fare, con chi si schiereranno? La domanda sicuramente proviene dal riflesso condizionato suscitata dalla attuale cronica instabilità politica che richiederebbe un loro positivo coinvolgimento memori del loro positivo ruolo in altre epoche.
I cattolici però non sono usciti dalla scena, si sono collocati nel tempo qui e là nel sistema politico perennemente in cambiamento improduttivo. Pochissimi si conservano liberi e forti, si acconciano come possono nel dannoso sistema bipolare e vivacchiano pressoché senza infamia e senza lode nel progressivo svilirsi della politica. Essi conservano appena una pallida somiglianza alla migliore classe dirigente proveniente dal mondo cattolico del 900, come d’altronde accade anche per quegli altri che vantano radici in altre culture politiche nobili della prima repubblica. Non è colpa loro se non sono sufficientemente convincenti quando vantano l’eredità a cui non hanno contribuito. Però declamandola senza metterla in pratica, vengono percepiti sterili e da confondere con gli altri. Non si riuniscono in un solo corpo perché in molti casi non hanno una storia personale vissuta che li accomuna: non sono portatori di un progetto alternativo al modo corrente di fare politica.
Sarà questa la ragione per cui li si vede spendersi nel nome di un’appartenenza, giammai nell’impegno concreto ed organizzato praticato dai democratici cristiani in altri tempi. Quella storia racconta della fecondità della cultura dei cristiani democratici nel primo trentennio repubblicano, concentrati in primo luogo per lo sviluppo partecipativo dei cittadini. Lo facevano in continuità all’idea dei costituenti orientati a fare forti i corpi intermedi per assicurare vitalità al sociale, quale leva per originare l’autogestione del sociale di molti bisogni non soddisfatti dallo Stato. Il loro cruccio era muovere la leva della sussidiarietà nella gestione autonoma dei servizi da affiancare a quelli pubblici. La loro filosofia di fondo riteneva indispensabile disporre nel campo sociale di perni in grado di bilanciare il potere dei deboli con quello dei forti. Un potere diffuso costituito da persone umili, avrebbe garantito soggettività sociale e buon alimento alla politica, una importante palestra per lo sviluppo dei ceti medi e degli operai per farli concorrere a produrre classe dirigente.
La rovinosa decapitazione dell’establishment politico avvenuta all’inizio degli anni novanta, e la conseguente selezione della classe dirigente affidata tout court alla discrezione dei capi partito con la complicità del sistema elettorale, ci ha condotto in nome della modernità a tagliare i rami di sostegno al sistema politico partecipato. Così si è creata una voragine tra i partiti ed il modello degli equilibri politici nella Repubblica definiti dai costituenti. Dunque la storia fatta da Sturzo, De Gasperi, Moro, e da tanta altra classe dirigente delle formazioni politiche ispirate dall’umanesimo, sono stati in tanti casi sostituiti dai Dulcamara di turno che promettono miracoli, ma promesse che si trasformano facilmente nella misura del loro fallimento.
C’è allora da sperare che i cattolici, in alleanza con altri interessati a rimuovere il bipopulismo, vogliano ripartire dal basso per una lunga marcia di rigenerazione. Per cambiare la politica dovranno nuovamente occuparsi della scuola pubblica e privata, di banche popolari, di associazioni per promuovere asili per bambini e case per anziani. Ad organizzare consorzi di fondi pensione, cooperazione in agricoltura, industria e terziario; in ogni attività che presuppone soluzione di nodi sociali e protagonismo dei cittadini.
Il rinnovamento della politica si gioca con il ripristino sistema partecipativo per riorentare il sistema dei partiti allo spirito costituzionale. Questo è il modo per evitare le promesse di governabilità attraverso le suggestioni plebiscitarie. Per fare della politica la più grande carità come diceva Paolo VI, l’unica via è quella della fatica che spinga ciascuno a prendersi le proprie responsabilità. Per farla fiorire e rimuovere le deviazioni odierne, le persone dovranno potere disporre esse stesse della libertà di essere parte attiva dell’ingranaggio del complesso sistema della convivenza civile per non essere un numero ma una persona che ha le stesse possibilità di chiunque altro.