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Per Raimondo nessuna minaccia è come la Cina (messaggio anche a Bruxelles)

La segretaria al Commercio statunitense chiede un maggiore budget perché il suo dipartimento è in prima linea nella competizione contro la Cina. Dal controllo delle esportazioni passa anche il de-risking, dal quale passa la strategia che Washington vuole condividere con gli alleati

La segretaria al Commercio statunitense, Gina Raimondo, non ha usato mezzi termini quando nei giorni scorsi, parlando dal palco del Reagan Defense Forum, ha dichiarato che la Cina è “la più grande minaccia che abbiamo mai avuto”. E per questo il Bureau of Industry and Security (Bis) del dipartimento del Commercio ha bisogno di un budget maggiore per aiutare gli Stati Uniti a superare l’innovazione tecnologica di Pechino. Da quello stesso palco, il capo del Pentagono Lloyd Austin spiegava che l’unico modo per superare la Cina è unire la forza delle alleanze.

E allora, quello che esce dalle parole di due tra i più importanti segretari dell’amministrazione Biden è un messaggio diretto anche al principale alleato degli Stati Uniti, l’Unione europea, che nei prossimi giorni farà la radiografia delle relazioni con la Cina durante un incontro di massimo livello a Pechino.

“Non possiamo permettere alla Cina di ottenere questi chip. Period!”, ha detto Raimondo davanti al simposio di funzionari governativi e industriali riunito alla libreria memoriale reaganiana di Simi Valley, in California. E per la segretaria, impedire (“Punto e basta!”) che i cinesi ottengano i più potenziati chip sul mercato significa maggiori finanziamenti da parte del Congresso, perché il suo lavoro riguarda la sicurezza tanto quanto quello delle forze armate. “Ho un budget di 200 milioni di dollari. È come il costo di alcuni jet da combattimento. C’on!”, ha detto Raimondo, che chiede “di finanziare questa operazione come deve essere finanziata”.

La proposta fa parte di una strategia più ampia della segretaria, che nei prossimi mesi intende espandere i poteri del Bis, l’ufficio che tiene una lista nera di aziende e organizzazioni a cui è vietato importare le tecnologie americane più sensibili. Questo è a sua volta parte di una pianificazione commerciale ed economica strategica di senso ancora più ampio (come dimostrano le valutazioni del Pentagono riguardo al nuovo ecosistema dell’industria militare, per esempio). Washington si muove con un traguardo strategico, per una competizione che riguarderà i prossimi decenni e che va sotto una targa: de-risking.

Il termine coniato da Ursula von der Leyen per gestire le relazioni europee con la Cina, alternativo al più lento e complicato de-coupling (viste le interdipendenze con la Cina), è ormai il mantra su entrambe le sponde dell’Atlantico. Da esso passano le misure di export control, le mosse per assistere le produzioni interne e mettere al sicuro le catene di approvvigionamento, i nuovi accordi commerciali (come quello che l’Ue vorrebbe siglare col Mercorsur, o il memorandum d’intesa con l’India).

Tanto per inquadrare il contesto. A ottobre l’amministrazione Biden ha presentato restrizioni aggiornate sull’esportazione di chip avanzati in Cina, intensificando il tentativo di rallentare lo sviluppo di Pechino nel campo dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie che potrebbero aiutare le forze armate cinesi (e in generale lo sviluppo competitivo della Repubblica popolare). Scelte che richiamano il convogliamento di altri attori.

Per capirci: ai tempi, gruppi come la Semiconductor Industry Association avevano avvertito che restrizioni “troppo ampie” avrebbero potuto danneggiare l’ecosistema globale e avevano esortato l’amministrazione a far sì che altre nazioni come i Paesi Bassi, il Giappone e la Corea del Sud seguissero l’esempio con regole di esportazione più severe, in modo che le aziende straniere non sottraessero quote di mercato alle imprese statunitensi. “So che tra il pubblico ci sono amministratori delegati di aziende produttrici di chip che si sono un po’ arrabbiati con me quando l’ho fatto (di stringere la cinghia, ndr), perché state perdendo entrate. La vita è così, la protezione della nostra sicurezza nazionale è più importante delle entrate a breve termine”, ha detto Raimondo alla Reagan Library.

È una linea chiara, che i funzionari statunitensi spingevano molto già negli scorsi anni, quando per esempio i produttori cinesi erano diventati il mercato di riferimento per la tecnologia 5G. In un incontro riservato, un funzionario del governo statunitense spiegò a Formiche.net che avere un 5G “in mano al Partito comunista di Pechino” è molto peggio di non averlo. Questo perché ci sono ricostruzioni secondo cui le aziende di telecomunicazioni cinesi sono in diretto collegamento con il governo, dunque le intelligence di Pechino, e potrebbero usare i big data raccolti per campagne di infowar contro le democrazie occidentali, o peggio per operazioni cyber.

“Notizia flash: la democrazia fa bene alle vostre imprese. Lo Stato di diritto, qui e nel mondo, fa bene alle vostre imprese”, ha detto la segretaria. Raimondo ha criticato in particolare Nvidia Corp., la quale ha adattato i chip per venderli sul mercato cinese dopo che Washington ha imposto le sue restrizioni iniziali nell’ottobre 2022. “È quello che fa l’industria”, ha detto, ma “non è produttivo”. In definitiva, gli Stati Uniti stanno mettendo sul tavolo, adesso con maggiore insistenza, un confronto tra sicurezza e prosperità, considerando che la partita in corso vede la prima come fondamentale per garantirsi la seconda in futuro.

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