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Riforma del premierato. Fini difende Giorgia mentre Casini e Bertinotti…

I tre ex presidenti della Camera discutono di Costituzione, Parlamento, Democrazia sia per portare un contributo all’attività riformatrice del governo, sia per avanzare perplessità. Dei tre è Fini il presidenzialista a difendere l’iniziativa dell’esecutivo. Ma tutti convergono sull’esigenza di superare le liste bloccate

Tre ex presidenti della Camera attovagliati con vista riforme. Il convegno intitolato “Costituzione, Parlamento, Democrazia” è stata l’occasione per ascoltare le opinioni di un convinto presidenzialista, di un democristiano di lungo corso giunto all’undicesima legislatura e di uno storico segretario comunista. Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini e Fausto Bertinotti hanno offerto al dibattito sul premierato una serie di elementi, soggettivi, costruttivi e critici, per entrare nel merito di una riforma che sarebbe storica non solo per la repubblica italiana di oggi ma per quella di domani.

Dinanzi ad una folta platea fatta di studenti, ex parlamentari e giornalisti i tre ex presidenti hanno dato vita ad un intenso confronto sulle riforme, con al centro il disegno di legge sul premierato che non va “demonizzato né incensato” (copyright Gianfranco Fini). Ma con quali premesse? Intanto le ovvie e differenti sfumature che i tre esponenti hanno, in seguito una convergenza sullo stop alle liste bloccate.

Il presidenzialista

Il presidente che fra i tre è stato da sempre un presidenzialista convinto ha promosso la legittimità della riforma targata Giorgia Meloni. Secondo Fini la Costituzione non è un totem intoccabile almeno nella seconda parte, per questo si rifiuta di dire un no a priori. In seguito aggiunge alcuni rilievi di merito: “Un partito che aveva messo nel programma elettorale l’opzione presidenzialista ha dovuto prendere atto che non era praticabile, molto probabilmente perché all’interno della coalizione hanno espresso dissenso per l’elezione diretta e popolare del Capo dello Stato che portasse ad un modello francese. Meloni ne ha preso atto e ha trovato con gli alleati un’intesa su un altro modello. Mi spiace che, non avendo potuto guardare a Parigi, nel lodevole intento di rafforzare le prerogative del capo del governo e di dare stabilità l’ attuale governo non abbia dato un’occhiata a quel che accade a Berlino. Sarebbe stata una strada più facile da comprendere. Il modello tedesco con la sfiducia costruttiva contribuisce alla stabilità”.

Dice di non condividere gli attacchi di Casini e Bertinotti e di non riconoscersi nella critica aprioristica. “Il premierato porterà alla nuova Repubblica”. Infine chiede al premier che riconsegni al corpo elettorale la possibilità di eleggere i parlamentari: “No alle liste bloccate. Spero che Meloni ci ascolti”.

Il quirinalista

Tutto cambia con questa riforma secondo Casini, con innanzitutto una mutazione epocale circa poteri e prerogative del Presidente della Repubblica: “Non prendiamoci in giro. Questa riforma cambia tutto a partire dalla funzione di terzietà del Capo dello Stato, al quale vengono tolti tutti i poteri di moral suasion”. Una terzietà senza unghie che, secondo l’esponente democristiano, attuale senatore del Pd, “non è nulla, è solo un taglio del nastro”. E si chiede chi sceglierà i rappresentanti del Parlamento? “In queste condizioni nessun parlamentare ha la forza morale e istituzionale di alzarsi e dire no al governo altrimenti perde il posto”.

Il comunista

In primis Bertinotti ha espresso la sua contrarietà alla riforma, perché prevede un forte ridimensionamento del ruolo del Presidente della Repubblica. “Io penso che noi viviamo una crisi profonda della democrazia e della politica e ogni ipotesi di fuga da questi problemi attraverso acrobazie istituzionali sia destinata al fallimento. A meno che questi elementi di architettura non siano usati come grimaldello per forzare il quadro verso una scissione tra il tempo futuro e quello presente e passato, verso una democrazia autoritaria che sradica totalmente il suo futuro dalle radici democratiche e antifasciste della Repubblica”.

Ha poi osservato il dato relativo all’affluenza elettorale: “Quando il 50% della popolazione non va a votare mette in campo una mozione di sfiducia verso le istituzioni. La decretazione d’urgenza – ha sostituito l’attività parlamentare. Il Parlamento è sotto schiaffo. Il governo quando chiede una manovra blindata provoca l’eutanasia del Parlamento”. Infine ha invocato un “balzo di tigre per poter riprogettare un futuro diverso”.

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