Skip to main content

Rinnovabili, l’obiettivo è triplicare. Ma occhio ai venti contrari

Oltre 100 Paesi alla Cop28 hanno promesso di accelerare ancora sull’installazione di eolico e solare. Ma agli ostacoli storici (permitting e allacci alla rete) si stanno aggiungendo condizioni economiche sfavorevoli e problemi lungo le catene di approvvigionamento. Ecco cosa frena lo sviluppo e cosa può ribaltare questa condizione

Tra le promesse più evocative (e meno controverse) emerse dalla Cop28 di Dubai spicca quella di triplicare la capacità di generazione di energia rinnovabile. Oltre cento Paesi si sono impegnati a farlo entro il 2030, prospettando un’accelerazione di un settore che sta già crescendo a ritmi forsennati. Si parla di aggiungere un minimo di 11.000 gigawatt in soli sei anni, un quinto in più di quanto prevedono le proiezioni di BloombergNEF. Ma anche aumentare un torrente di investimenti che secondo l’Iea ha raggiunto i 600 miliardi di dollari a livello globale nel 2022 – e che dovrebbe raddoppiare per tenere l’obiettivo delle zero emissioni nette zero al 2050 a portata.

Almeno sulla carta, la spinta è motivo di ottimismo. Negli ultimi decenni i prezzi di solare ed eolico si sono minimizzati, rendendoli soluzioni attraenti per sostituire fonti sporche come il carbone anche in Paesi come Sudafrica e Indonesia. L’Economist ha rilevato che il rendimento medio del capitale investito in progetti rinnovabili è passato dal 3% nel 2015 al 6% nel 2019, un livello simile a quello dell’estrazione di petrolio e gas ma con volatilità inferiore. In più c’è di “buono” che i principali ostacoli sulla via dell’installazione sono perlopiù burocratici, come ben sanno gli addetti ai lavori.

In quest’ottica la promessa di triplicare la capacità rinnovabile, unita a quella di aumentare gli investimenti nei progetti greentech dei Paesi emergenti, sembra una panacea per la decarbonizzazione. Ma negli ultimi anni le prospettive delle rinnovabili, in tutti i settori, si sono fatte più tetre per via dell’aumento dei tassi d’interesse, degli intoppi lungo la catena di approvvigionamento e della contesa tra Cina e Occidente – sempre più combattuta a colpi di controlli alle esportazioni – che rischia di minare il flusso dei beni necessari per decarbonizzare le economie del mondo.

Una delle cause è il forte rialzo delle materie prime e le componenti necessarie per la costruzione di pannelli solari e turbine eoliche. Il prezzo del polisilicio (componente fondamentale dei pannelli solari) è schizzato da 10 a 35 dollari al chilogrammo nel giro di due anni – un effetto delle frizioni che la pandemia ha generato nelle supply chain della Cina, che è essenzialmente monopolista in questo settore. In parallelo l’invasione russa dell’Ucraina ha fatto salire anche il prezzo dell’acciaio (la Russia è il terzo esportatore al mondo) che serve per costruire le turbine: uno dei motivi dietro a una crisi dell’eolico abbastanza spaventosa da spingere giganti come Orsted a incassare una svalutazione di oltre 5 miliardi di dollari senza colpo ferire.

C’entrano anche i rialzi dei tassi di interesse di Fed e Bce e il conseguente aumento del costo del denaro, che mina la fattibilità dei grandi progetti ad alta intensità di capitale con lunghi periodi di rimborso – esattamente il modello con cui vengono costruiti i grandi parchi eolici e solari. In altre parole, finché non scenderanno i tassi gli investitori ci penseranno due volte prima di imbarcarsi in avventure molto costose. Anche perché – come ha detto a Reuters Ignacio Galan, presidente esecutivo di Iberdrola – “per ogni dollaro investito nelle energie rinnovabili dobbiamo vederne altrettanti investiti nelle reti necessarie alla loro integrazione”. Peccato che anche il prezzo del rame sia ben più alto del pre-pandemia, senza contare gli eventuali sistemi di accumulo per compensare alla mancanza di sole e vento – e che la costruzione delle nuove linee possa richiedere un decennio.

La prospettiva per le rinnovabili non è completamente fosca: i costi di polisilicio e altre materie prime hanno iniziato a diminuire, la capacità produttiva della catena di approvvigionamento del solare è in aumento e anche i produttori occidentali di turbine stanno razionalizzando le spese, lavorando sul bilanciamento tra aumento dei prezzi e offerte ai clienti e risolvendo gli intoppi lungo la supply chain – senza contare l’aiuto di Stati come la Germania, che ha appena soccorso Siemens con 15 miliardi di euro. Oltre all’intervento strategico delle istituzioni conteranno l’allentamento dei tassi, previsto per il 2024, e l’evoluzione dei conflitti – sia quelli materiali che geopolitici. Ma senza la prospera stabilità che ha preceduto il periodo di poli-crisi, è difficile che il settore delle rinnovabili diventi innegabilmente più attraente delle alternative.



×

Iscriviti alla newsletter