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Dopo l’Occidente, la Cina. La grande fuga che riporta Mosca alla Guerra Fredda

Nel giro di due anni, addio dopo addio, la quasi totalità delle banche di Europa e Stati Uniti ha lasciato l’ex Unione Sovietica, cancellando trent’anni di mercato e aperture. Un vuoto che ora potrebbe essere colmato presto dalla Cina

Trent’anni di mercato spazzati via, in un sol colpo. Ci sono voluti tre decenni per costruire solidi ponti tra la finanza occidentale e quel che rimaneva dell’Urss, all’indomani della sua disintegrazione, cominciata nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino e i primi rovesci nelle Repubbliche satellite, Romania in primis. Ma ne sono bastati quasi due per riportare il calendario all’anno zero. La guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina ha spazzato via banche, assicurazioni, aziende occidentali dalla Federazione, per l’effetto della reazione emotiva al conflitto, combinato con la paura di rimanere invischiati nelle sanzioni o, peggio, delle nazionalizzazioni coatte più volte minacciate da Vladimir Putin.

E così, la presenza delle istituzioni finanziarie occidentali in Russia è tornata ai livelli della Guerra Fredda, dopo una lenta ma inesorabile ritirata. Il tutto in favore della Cina, le cui banche stanno prendendo sempre più piede nell’ex Unione Sovietica. Se nel 2021, qualche mese prima che Mosca invadesse l’Ucraina, l’esposizione delle banche occidentali in Russia ammontava a 119 miliardi dollari, oggi tale cifra è pressoché dimezzata e supera di poco i 60 miliardi. Avvicinandosi ai 40 di fine anni 80, quando cioè la Guerra Fredda volgeva al termine anche sull’onda della perestrojka messa in atto da Michail Gorbačëv. Se si pensa che nel 2012, undici anni fa, l’interscambio tra banche estere e Russia era di quasi 240 miliardi, va da sé che gli ultimi due anni abbiano di fatto chiuso un’era.

Il fatto è che negli ultimi mesi, c’é stata una vera e propria accelerazione delle uscite dalla Russia, come testimoniato anche dal ceo di Unicredit, Andrea Orcel, che intervistato dalla Faz, ha spiegato come “in Russia la strategia di Unicredit rimane invariata, stiamo riducendo il nostro impegno. La nostra presenza è già diminuita di oltre il 70% in due anni, era un’area di business molto grande, ora abbiamo meno dell’1% di quota di mercato”.

Alcune aziende che inizialmente volevano rimanere, anche dopo le sanzioni , adducendo vari motivi per farlo, hanno deciso di cambiare aria. Anche se non è stato facile. Per prima cosa, c’è una questione finanziaria: secondo una nuova legge voluta fortissimamente da Putin, le società occidentali devono vendere le loro quote di attività russe con uno sconto del 50% e pagare anche il 10% di una tassa di uscita volontaria al bilancio russo. Con questi soldi la Russia vuole costituire un fondo di compensazione, in risposta all’esproprio di beni russi all’estero, deciso dai Paesi dell’Occidente e perno delle sanzioni contro il Cremlino.

Ma chi colmerà il vuoto lasciato dalla finanza europea e americana? Quasi certamente dalla Cina. Le banche del Dragone “probabilmente svolgeranno almeno un ruolo simile a quello delle banche occidentali prima del conflitto ucraino come ancora di stabilità e facilitatore del commercio estero”, affermano l’analista Ruslan Gadeev, interpellato da Bloomberg. Lo dicono comunque i numeri. Nel mese di ottobre il 50% degli scambi valutari Mosca-Pechino era in yuan, mentre a settembre circa un terzo del commercio estero della Russia è stato regolato in valuta cinese.

Tutto questo, mentre l’Europa è pronta a fare suoi circa 15 miliardi di euro dagli oltre 200 miliardi di asset congelati alla Russia, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Soldi che Bruxelles vuole girare direttamente a Kyiv, per finanziare la ricostruzione del Paese. Come raccontato nei giorni scorsi da Formiche.net, in questi giorni la Commissione europea esaminerà alcune proposte utili a monetizzare parte dei beni confiscati a Mosca. Di tentativi, in questi quasi due anni di guerra, ce ne sono stati ma sono tutti falliti per cavilli legali.

Ora però un piano c’è e potrebbe essere quello buono. Tutto per scremare fino a 15 miliardi di euro a beneficio dell’Ucraina. L’idea sarebbe quella di agire direttamente sui depositari che detengono i titoli e bond della Banca centrale russa, i quali grazie agli interessi applicati, generano profitti. I quali, potrebbero essere spostati su conti separati. Questa sarebbe la prima fase. Poi scatterebbe la seconda, nella quale i profitti verrebbero trasferiti direttamente nel bilancio comune dell’Ue per aiutare a sostenere l’Ucraina.


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