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Reinventare lo Stato. Sacconi e Verbaro raccontano prospettive e futuro della riforma

Nel 1993 prese vita l’immane sforzo di cambiare il volto della Pubblica amministrazione e delle sue articolazioni, per mettere finalmente lo Stato e i suoi dirigenti al servizio del cittadino. Non tutto andò secondo i piani, però. Eppure… Spunti e riflessioni dalla presentazione alla Lumsa del volume di Francesco Verbaro e Maurizio Sacconi, “1993. Il tentativo di reinventare lo Stato. Attualità e prospettive di una riforma”, pubblicato dalle Edizioni Studium

Non fu certo un anno banale, il 1993. L’Italia era travolta dalla tempesta di Tangentopoli, che spazzò via i residui della vecchia classe dirigente targata Prima Repubblica. La mafia piazzava le ultime bombe, chiudendo un’altra stagione di orrendi eccidi, cominciata con Capaci, l’economia tentava di assimilare e smaltire la manovra da 93 mila miliardi di lire voluta l’anno prima dal governo di Giuliano Amato, con annesso prelievo forzoso sui conti correnti, passato ormai alla storia.

In quell’anno, prendeva corpo il decreto legislativo 29/1993 (l’esecutivo di Amato sarebbe caduto pochi mesi dopo, a fine aprile) con la quale giungeva al suo zenit uno dei più profondi tentativi di riforma organica che l’Italia avesse mai conosciuto dal 1865, quattro anni dopo l’Unità, fino ad allora. Era la Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, l’apice di dieci anni di dibattito politico sulla necessità di mettere mano all’apparato statale, in tutte le sue forme e di dare alla dirigenza pubblica l’abito del manager privato.

Si tentava, insomma, la più grande modernizzazione del sistema amministrativo e si gettavano le basi per la prima, vera, stagione delle privatizzazioni (Eni, Enel, Telecom, Alitalia, Ina, tra tutte), che avrebbero preso forma da lì a venire, dando vita a un’operazione da 176 mila miliardi di lire. Ma non tutto andò come previsto e molti interventi rimasero solo sulla carta nei tre decenni a seguire. Per questo, se i principi di quella stagione sono ancora validi e per questo da resuscitare, non si può negare come parte di quella immane riforma non abbia, nei fatti, mai visto la luce.

E proprio da qui è voluto partire Maurizio Sacconi, autore insieme a Francesco Verbaro, del volume 1993. Il tentativo di reinventare lo Stato. Attualità e prospettive di una riforma, pubblicato dalle Edizioni Studium nel 2023, presentato ieri sera alla Lumsa. Un’opera a quattro mani, quelle del già ministro del Lavoro dal 2008 al 2011 e del docente presso la Scuola superiore della Pubblica amministrazione e già segretario generale del ministero del Lavoro sotto Sacconi, che a trent’anni da quella stagione riporta alla luce una ricostruzione del tentativo di riforma dello Stato secondo una prospettiva tipica delle Scienze aziendali, in grado di esaminare per settore le sue componenti di base e verificare le possibilità di attualizzare e rilanciare un’esperienza che a tutt’oggi appare quanto mai attuale.

Al dibattito sul libro, coordinato da Agnese Pini (direttore del Quotidiano Nazionale), sono intervenuti oltre agli autori, Stefano Parisi, che ha firmato la prefazione al testo, Francesco Bonini, rettore dell’Università Lumsa e presidente delle Edizioni Studium, Francesca Pasinelli, direttore generale di Telethon e Alberto Stancanelli, consigliere della Corte dei conti nonché capo gabinetto del sindaco di Roma Capitale e Carlo Deodato, segretario generale della Presidenza del consiglio.

Nel volume, Sacconi e Verbaro, ricostruiscono il contesto, i contenuti, il lascito e le possibilità di rilancio del più coraggioso tentativo di reinventare il fragile Stato italiano secondo il modello delle scienze aziendali: separazione tra indirizzo (politico) e attuazione (amministrativa), autonomia e responsabilità della dirigenza, contabilità economica analitica per centri di costo, reingegnerizzazione digitale e uso dei big data, privatizzazione del rapporto di lavoro e normali relazioni sindacali fondate sul buon datore di lavoro.

“La riforma del 1993 fu concepita per trasformare la Pubblica amministrazione in uno strumento di servizio ai cittadini”, ha subito messo in chiaro Deodato. “Lo spirito riformatore emerge bene dal libro, che ne evidenzia i tratti manageriali. Ma allo stesso tempo, il volume delinea il tradimento consumato ai danni di quegli stessi principi riformatori. Tuttavia, e questa è la buona notizia, l’opera di Sacconi e Verbaro individua anche dei percorsi di recupero, per dare nuova attualità a quella riforma”.

Ma quali le ragioni di tale tradimento? “Il libro”, ha spiegato Deodato, “nel individua tre, tra cui la ritardata digitalizzazione della Pa e la conservazione di un approccio burocratico delle funzioni pubbliche. Queste lacune, portarono al fallimento di parte della riforma stessa. E pensare che il ruolo del dirigente pubblico, era stato immaginato come simile a quello del manager privato. Ma oggi, e anche questo emerge dal volume, sotto forma di vulnus della riforma, non possiamo dire che la dirigenza statale abbia completamente fatto sue le competenze che spesso incontriamo nel privato. Bisognerebbe, per esempio, seguire un approccio che preveda in molti casi, la liberalizzazione del controllo pubblico, togliendo assensi, nulla osta, tutti gli adempimenti sovrabbondanti e sproporzionati”.

Secondo Stancanelli “in quel momento, trent’anni fa, fu avviato un processo di riforma irreversibile, questo va riconosciuto. Ma mancò l’osmosi tra pubblico e privato. Il modello aziendalistico non attecchì fino a un certo punto nella Pubblica amministrazione”, ha sottolineato il Consigliere della Corte dei conti. “Nel titolo del libro si parla di tentativo e così fu. Ma c’è anche un’altra parola, ovvero reinventare, per dire che l’obiettivo era quello di modificare profondamente diversi settori dello Stato, dalla previdenza alla sanità. Sacconi ha saputo leggere quel mondo che doveva cambiare”.

Diverso il punto di vista di Pasinelli. “Il Terzo settore, di cui noi ci occupiamo, condivide la visione di un Pa formato azienda. E questo perché guardiamo all’efficacia dell’azione della stessa Pa. Nell’ambito nel panorama del Terzo settore, ho trovato interessante nel libro la parte dedicata ai reclutamenti: qui la parola competitività ha molto a che fare con il Terzo settore”, ha spiegato Pasinelli. Poi la parola è passata direttamente a Sacconi.

“Allora c’era una sorta di utopia e anche per questo penso che tali principi possano essere ripresi. Pensiamo alla contabilità, che da quei giorni è molto cambiata in Italia. Pensiamo anche alla tecnologia, allora pensavamo che il digitale fosse il futuro e così è stato. E allora, se le cose stanno così, che cosa sbagliamo ancora oggi? Semplice, eravamo sull’orlo di un disastro: per realizzare davvero quella riforma dobbiamo uscire dal trauma di Tangentopoli. Altrimenti le amministrazioni non usciranno mai dalla trappola, il volume questo lo dice chiaramente. Oggi siamo ancora prigionieri di un trauma vecchio 30 anni”, ha spiegato l’ex ministro. “Se non riusciamo ad aprire le finestre e far entrare aria fresca, non avremo dirigenti migliori, di cui abbiamo un gran bisogno. Questo è il nodo che noi consegniamo al governo. Spero che al di là delle conclusioni del volume, ci possano essere decisioni importanti per la politica”.

Anche Verbaro ha parlato di “trauma non curato”, sposando la tesi di Sacconi. “Oggi siamo in condizioni simili o peggiori di allora, e che richiedono una maggiore spinta, i problemi sono in parte diversi. Tremila miliardi di debito pubblico, una demografia in crisi, una Pa pesante che non riesce a fare di più con meno. Ma le leve da utilizzare sono ancora le stesse di 30 anni fa, la qualità del personale e il digitale. Ripartiamo da lì”.

 

 


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