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Stretta sui mutui, perché è ora di allentare il peso sulle famiglie. Scrive Pedrizzi

Il 2023 si è rivelato un anno difficile per le erogazioni (-33,3% nel secondo trimestre e -29,9% nel primo trimestre). I numeri erano già in rosso nel 2022 con erogazioni in calo del 20%. Nei primi nove mesi dell’anno, la domanda si è contratta del 19,9%. E ciò vuol dire che, da una parte, le famiglie non sono più in grado di assumere impegni per il futuro, dall’altra le banche sono diventate più selettive nella concessione di prestiti. L’intervento di Riccardo Pedrizzi

Dal bollettino della Bce emerge chiaramente che nell’Eurozona le famiglie e le imprese risultano penalizzate nelle loro richieste di finanziamento. Infatti mutui e finanziamenti, prestiti per acquisto abitazioni, credito al consumo e altre forme, registrano una forte flessione rispetto al trimestre precedente con percentuali dell’11% e 16%. Reggono invece gli interventi a favore delle imprese. L’ufficio parlamentare di bilancio (Upb) dal suo canto ha quantificato la forbice tra la l’offerta e la domanda di credito su una scala da 0 a 100 a quota 70 punti paragonando il picco storico tra la fine del 2022 e l’avvio del 2023 della caduta del credito a quello registrato nel 2008 e facendo emergere anche un vero e proprio inasprimento delle condizioni del credito. In particolare la restrizione monetaria sembra trasmettere i propri effetti anche al mercato immobiliare. Infine la Crif (Centrale Rischi di Intermediazione Finanziaria) ci conferma che diminuisce del -19,4% la richiesta di mutui nei primi nove mesi del 2023.

Anche secondo l’ultimo “Sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni in Italia” realizzato dagli agenti immobiliari italiani, dal 25 settembre al 25 ottobre 2023, l’andamento del settore immobiliare è diventato più negativo. La domanda si mantiene debole: i giudizi di riduzione del numero dei potenziali acquirenti prevalgono su quelli di aumento; le difficoltà di ottenere un muto per l’acquisto di un’abitazione non si registravano così dalla fine del 2014.

Per quanto riguarda gli affitti, anche i canoni di locazione sono in aumento. E le prospettive continuano a peggiorare.
Per la precisione, la quota di agenti che ravvisano un calo delle quotazioni immobiliari è salita al 28,6% (da 25,5). A livello territoriale i giudizi sono più negativi nel Centro-Sud. Cioè, quasi un agente su due ha venduto un numero inferiore di abitazioni rispetto al trimestre precedente, sopratutto perché è salito al 4,37% il tasso di interesse su nuovi mutui per l’acquisto della casa nel mese di ottobre, contro il 4,21% del mese precedente secondo il bollettino mensile dell’ABI e la quota di operatori che segnalano difficoltà nell’ottenere un muto da parte degli acquirenti è salita al 34,4%, il valore più elevato dalla fine del 2014.

La quota di compravendite finanziate con mutuo ipotecario è scesa al 63,4%, dal 64,1, il valore più basso dalla fine del 2014. Il rapporto fra l’ammontare del prestito e il valore dell’immobile è invece rimasto su valori elevati, al 77,3% .

Come noto, il 27 luglio del 2022 la Bce ha avviato una serie di aumenti che hanno portato il tasso di riferimento da zero al 4,5%. A inizio marzo 2022 il tasso di un muto basato su questi parametri era il 2,2%, oggi è al 4,4%. Un raddoppio che si aggiunge a valori immobiliari generalmente in lieve aumento.

Questo è il motivo per il quale il mercato dei mutui è andato in crisi e le erogazioni sono al tracollo (-33%).

Il 2023 si è rivelato un anno difficile per le erogazioni (-33,3% nel secondo trimestre e -29,9% nel primo trimestre). I numeri erano già in rosso nel 2022 con erogazioni in calo del 20%. Nei primi nove mesi dell’anno, la domanda si è contratta del 19,9%. E ciò vuol dire che, da una parte, le famiglie non sono più in grado di assumere impegni per il futuro, dall’altra le banche sono diventate più selettive nella concessione di prestiti. Per questo molti italiani acquistano un immobile senza ricorrere alla leva finanziaria. Solo il 40,1% delle compravendite residenziali sono state assistite da muto, contro un 50,2% registrato nel corrispondente trimestre 2022. Questo spiega il calo delle giacenze presso il sistema bancario nei depositi e nei conti correnti.

Attualmente, per fare un esempio, a Milano, con 900 euro al mese si comprano 33,8 metri quadri, contro i 46,6 di inizio 2022, cioè una stanza in meno (-12,8 metri). Dopo i rialzi della Bce il potere d’acquisto è sceso del 37%. Nella Capitale oggi, sempre con 900 euro, si finanziano 54,2 metri, lo scorso anno se ne ottenevano quasi 16 in più e la diminuzione è del 22,7%. Se facciamo la media delle otto principali città italiane la perdita è di un soggiorno, si è passati infatti da 81,2 a 60 metri quadrati, cioè una diminuzione di 21,2 metri con calo del 26,1%.

Questa difficile situazione è aggravata ancor di più dalle difficoltà che attraversano attualmente circa 500 mila famiglie, che hanno rate di mutuo ormai fuori controllo, perché hanno superato del 50% il rapporto tra l’importo della rata e il reddito disponibile della famiglia, che sta rimborsando un muto a tasso variabile.

La Bce da luglio 2022 ha aumentato il costo del denaro di 500 punti base, issando l’indice Euribor (su cui vengono calcolate le rate dei mutui variabili) da -0,5% al 4,5%. Di conseguenza un mutuo medio di 120mila euro è passato da una rata di 400 – 500 euro al mese di inizio 2022 a un costo mensile di oltre 900. Questo impatta negativamente sopratutto sulle fasce basse e medie di reddito delle famiglie.
Dal 2012 al 2022, sono stati erogati in Italia mutui per 413 miliardi di euro. Di questi circa un terzo (160 miliardi) sono a tasso variabile. La fascia con un reddito fino a 1.500 euro al mese è la più esposta perché si trova facilmente con un rapporto rata/reddito superiore al 50% e in alcuni casi anche oltre il 60%. Si arriva cosi a una cifra di mutui a rischio vicina ai 60 miliardi. Lo scenario di tassi “alti per più tempo” disegnato dalle banche centrali rischia quindi di rendere morose nei prossimi mesi migliaia famiglie. Per il 2024, perciò, si prevede un aumento del 10% delle aste rispetto a quest’anno, per un numero di operazioni compreso tra 16 e 180 mila.

Per quanto riguarda gli affitti la quota di operatori che hanno dichiarato di aver locato almeno un immobile nel III trimestre è scesa al 79,5 dall’80,1 per cento. Un agente su due segnala un aumento dei canoni di affitto; il saldo di quanti ne riportano un aumento rispetto a quanti ne riportano una riduzione si è portato sul valore più alto dall’inizio del 2013 (46,5 punti percentuali da 43,5%).
Anche perché il settore delle costruzioni ha segnato -3,2% congiunturale, cioè rispetto ai primi mesi dell’anno, e un -2,9% tendenziale nel confronto con lo stesso trimestre dell’anno precedente.

Nell’ambito dei vari settori questa è la frenata più sensibile, mentre l’industria è diminuita dell’1,4%, l’agricoltura dell”1,3% ed i servizi dello 0,1%.

Il pessimismo per il mercato nazionale prevale anche su un orizzonte medio di alcuni anni. Le attese di diminuzione dei nuovi incarichi a vendere nel trimestre in corso continuano a prevalere su quelle di aumento.

Oltretutto non mancano le preoccupazioni per il futuro anche sul piano della tassazione degli immobili, se si tiene conto delle recenti raccomandazioni dell’Ocse all’Italia contenute nella scheda Paese del rapporto “Going for Growth”, secondo cui l’Italia deve “ridurre il cuneo fiscale sul lavoro spostando la tassazione dal lavoro ai beni immobili”. Per non parlare delle varie proposte che vengono dai partiti di opposizione italiani che vorrebbero imporre nuove tasse alle case degli italiani.

In questo scenario poco rassicurante con prospettive che tendono al nero, bene ha fatto la nostra autorità monetaria a lanciare avvertimenti ed a mettere in guardia la Banca Centrale Europea.

Il neogovernatore della Banca d’Italia, seguendo la linea saggia e costante del suo predecessore, Ignazio Visco, alla sua seconda uscita pubblica, in occasione del sessantesimo anniversario della creazione di Iccrea (l’Istituto Centrale delle Banche di Credito Cooperativo) ha dichiarato senza mezzi termini che un ulteriore aumento dei tassi “avrebbe effetti restrittivi sull’economia che non sarebbero giustificati dalle prospettive dell’inflazione” e su questo tema Fabio Panetta ha messo in guardia la Bce: “La restrizione attuata continuerà a dispiegare i suoi effetti nei prossimi mesi; il suo impatto sulla domanda potrebbe risultare ben più forte di quanto era stato previsto, anche in relazione alla riduzione dell’offerta di liquidità. La normalizzazione del bilancio dell’Eurosistema deve evitare aggiustamenti bruschi, che non sarebbero giustificati dalle prospettive dell’inflazione e potrebbero risultare controproducenti per la crescita e la stessa stabilità dei prezzi” ed ha aggiunto: “Non c’è alcuna ripresa della pressione inflazionistica”, anzi quella di fondo “misurata su base trimestrale”, più accurata, è al 2,6% e quindi “occorre evitare inutili danni per l’attività economica e rischi per la stabilità finanziaria”. La stretta monetaria infatti “si sta rivelando più forte di quanto previsto: il costo dei prestiti bancari è considerevolmente aumentato; la dinamica della moneta e del credito è rapidamente scesa su valori simili o inferiori a quelli registrati dopo la crisi finanziaria”… “L’attuale correzione monetaria differisce da quelle precedenti. Essa produce effetti non solo mediante la tradizionale manovra sui tassi ufficiali, ma anche attraverso una contrazione del bilancio dell’Eurosistema, che comporta un calo della liquidità in circolazione”.

Questa saggia posizione di Fabio Panetta è giustificata dalla caduta nella dinamica dei prezzi in Italia, che nella stima preliminare di novembre ha registrato un -0,4% su base mensile e un +0,8% su base annua, che non si vedeva dal marzo del 2021. Come si ricorderà il nostro Paese aveva iniziato l’anno con un aumento superiore al 10%, mentre il 2023 registra un’inflazione acquisita annua del 5,7% (nel 2022 è stata +8,1%). Rallenta poi anche l’“inflazione di fondo” al netto degli energetici e degli alimentari freschi (da +4,2% a +3,6%), mentre al netto dei soli energetici il tasso è a +3,7% contro il +4,2% del mese passato.

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