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Tutti i motivi per cui la tregua a Gaza non regge

Caos oltre la Striscia. Riprendono i combattimenti a Gaza, con il rischio che, mentre sia Hamas, sia Israele non sembrano aver interessi a fermare la guerra, gli scontri inizino anche in Cisgiordania. E l’attentato a Gerusalemme Ovest è un ulteriore elemento di destabilizzazione

I combattimenti tra Israele e Hamas sono ripresi questa mattina. La pausa iniziata venerdì scorso non ha retto al fronte interno. Mentre il governo Netanyahu continua sul desiderio di distruggere Hamas, il gruppo ha rivendicato un attentato a Gerusalemme Ovest (dove ci sono stati quattro morti, tra cui una donna incinta, e svariati feriti quando due fratelli palestinesi sono scesi da un’auto e hanno iniziato a sparare contro una fermata di un autobus prima di essere eliminati da un soldato, il quale ha ucciso anche un civile che lo stava aiutando, nonostante questo si fosse poi inginocchiato mani a terra gettando l’arma con cui aveva ingaggiato i due terroristi).

Ossia, Hamas ha dichiarato la volontà di aprire la lotta al di fuori della Striscia. Circostanza inaccettabile per il governo israeliano, e infatti il ministro della Sicurezza nazionale, il kahanista Itmar Ben Gvir ha subito denunciato la violazione della tregua. Poi sono ricominciati i primi razzi dalla Striscia e i bombardamenti a Gaza nord. Israele sottolinea che l’invasione e la guerra contro Hamas sarebbero comunque continuate fino al totale “dismantle” del gruppo responsabile della strage del 7 ottobre — che ha avviato una guerra che conta già più di 15 mila vittime.

Stallo sugli ostaggi

Figurarsi se può essere minimamente accettabile la provocazione del conflitto in casa. Lo spettro di una lunga e ancora più ingestibile nuova Intifada è questione da contrastare con forza. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, dopo aver detto al segretario di Stato americano, Antony Blinken, di nuovo in Israele per ulteriori negoziati, di voler distruggere “quella stessa Hamas che cerca di ucciderci ovunque”, ha accusato i palestinesi per la ripresa dei combattimenti. La linea formale (perché di crisi interna è meglio evitare anche solo di parlarne per ora) è che il gruppo non avrebbe accettato di liberare altri ostaggi ed estendere ulteriormente la tregua.

Quanto dice Netanyahu, nonostante avvolto dalla fog of war, è realistico. Hamas gioca (anche sul piano politico internazionale) con gli ostaggi. Sa che può mercanteggiare con le vite delle persone che ha rapito e usarle per passaggi successivi. Se ne resta priva non ha carte negoziali. I sette giorni di pausa hanno permesso la liberazione di 105 persone su un totale di circa 240. Donne anziane e i minori sono finiti e ora Hamas dovrebbe accettare di liberare coloro che sono in età militare e che appartengono alle forze di difesa e sicurezza?

Dal Qatar, che si sta occupando di ospitare la piattaforma diplomatica che sta gestendo queste tregue (mentre altri canali guidati da russi e iraniani restano attivi), già da ieri si era ventilata l’ipotesi di modificare i termini dell’intesa. E ne parlano anche fonti israeliane. La situazione è in stallo e le ipotesi per porre fine ai combattimenti – sperate da chi puntava su una consolidazione della pausa per trasformarla in un cessate il fuoco più stabile – si allontanano. E narrazioni come quella del francese Emmanuel Macron che approfitta della COP28 per incontrare l’egiziano Abdel Fattah al Sisi e “parlare di soluzione a due stati” assumono una tempistica surreale.

Si combatte anche perché Hamas non ha alternativa e Israele – convinto di aver ottenuto i primi rilasci solo per le pressioni militari sulla Striscia – non ha un piano strategicamente pensato per il dopo e pensa al presente (liberazioni degli ostaggi e distruzione di Hamas, come detto). Se l’opzione “Libano 1982” affascina i deterministi, non è chiaro se i leader di Hamas sul campo (Yahya Sinwar e Mohammed Deif) accetteranno mai di lasciare la Striscia come fecero Yasser Arafat e i suoi accettando l’esilio a Tunisi. Soprattutto, c’è il problema di sostituzione: l’Autorità nazionale palestinese di Mahmoud Abbas è pronta a prendere il controllo di Gaza, come alcuni progetti intendono ipotizzare?

Caos oltre Gaza

L’espansione, per ora puntuale e narrativa, dei combattimenti nei Territori occupati è uno spettro anche sotto questo profilo meno securitario e più politico (ammesso che i due piani, soprattuto in un contesto come quello israelo-palestinese, abbiano un confine riconoscibile). Se Netanyahu sa che un cessate il fuoco produrrebbe una nuova stagione politica – e un processo di pace – al quale non potrebbe partecipare e che adesso i suoi non vogliono (sia gli elettori del fronte nazionalista sia in generale buona parte degli israeliani), Hamas è su una posizione del tutto simile.

Il gruppo palestinese non trarrebbe alcun beneficio da un processo di pace nel quale non potrebbe essere formalmente incluso, responsabile dell’esplosione delle violenze con l’attentato brutale in cui sono stati uccisi 1200 israeliani. Ha più interesse in una de-escalation misurata, gestita al fine di rallentare l’intensità senza precedenti messa in campo da Israele. Inciso funzionale: 972Mag, magazine indipendente palestinese, ha pubblicato il più importante documento giornalistico dall’inizio del conflitto, raccontando come Israele abbia coscientemente deciso di accettare danni collegateli (leggasi vittime civili) pur di dar la caccia ai miliziani di Hamas (anche attraverso l’uso del sistema di intelligenza artificiale “Habsora”, il Vangelo, scelta che apre a grandi riflessioni algoretiche).

L’obiettivo di Hamas è impantanare Israele, sia sul campo che a livello di immagine internazionale (e per farlo accetta in modo spietato il sacrificio dei palestinesi come ha sempre fatto). Il fine è l’indebolimento dello Stato ebraico e costringerlo in futuro a negoziare qualcosa in più. Per ora, Israele accetta la sfida perché figure come Gvir e il gruppo radicale nazionalista che Netanyahu ha dovuto coinvolgere nell’esecutivo per mantenere presa sul potere, vuole – per ragioni di consenso – continuare i combattimenti. Il problema però è l’allargamento e la gestione conseguente.

Secondo le informazioni fatte uscire dall’intelligence israeliana, l’attentato a Gerusalemme Ovest sarebbe stato condotto da miliziani che venivano dalla Cisgiordania. La liberazione degli ostaggi ha rinvigorito in sostegno al gruppo nel West Bank, dove aver costretto Israele a scambiare prigionieri è stato considerato un successo dai palestinesi. Nel frattempo, il peso di Abbas è diminuito ulteriormente. Da unire a questo che un altro oltranzista del governo israeliano, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, pochi giorni fa, in piena pausa ma in mezzo la guerra, ha annunciato che nel prossimo bilancio statale ci saranno nuovi fondi per nuovi insediamenti in Cisgiordania.


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