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Dall’Africa ai Balcani. I consigli di Minuto Rizzo per il G7 italiano

“L’Italia ha l’opportunità di spingere sull’Africa dove il discorso del Piano Mattei è molto interessante, perché va al di là dell’emigrazione e degli sbarchi: il continente africano è formato da più di 50 Paesi dove si sta verificando la corsa delle grandi potenze per avere più influenza, Cina e Wagner in primis”. Conversazione con l’ambasciatore e presidente della Nato Defense College Foundation, Alessandro Minuto Rizzo

L’Italia, piaccia o meno, ha una posizione di politica estera chiara che potrà esplicitare durante la presidenza del G7, spiega a Formiche.net l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, presidente della Nato Defense College Foundation. In primis sull’Africa, dove il Piano Mattei si intreccia con l’agenda geopolitica europea, e poi sull’allargamento ai Balcani occidentali ma con una imprescindibile riforma della governance europea.

Sotto quali auspici si apre la presidenza italiana del G7?

Tanto per cominciare, io credo che vada sottolineato che per l’Italia si tratta di un momento unico di prestigio internazionale. Far parte del G7 è fondamentale e tornando indietro con lo sguardo ricordiamo tutti che non fu inizialmente facilissimo entrare in quel gruppo. Il peso della presidenza italiana si vedrà nell’organizzazione dei lavori, in come i temi verranno presentati e in come verranno redatti i documenti della parte organizzativa. Alla fine dell’anno sarà stata una buona presidenza per l’Italia se si metteranno a regime tutti questi elementi. Ma non è tutto.

Ovvero?

Osservo che il G7 non è un organismo decisionale, ma un organismo dei Paesi industrializzati e delle democrazie occidentali di coordinamento e consultazione: i documenti del G7 sono quelli che lasciano un indirizzo di carattere anche generale, ma danno un indirizzo su quello che i sette paesi teoricamente più importanti danno al resto del mondo. Questo è il significato del G7 in cui gli aspetti sistemici sono significativi. C’è voluto del tempo perché noi vi entrassimo e oggi per noi è un bel risultato al pari di un’altra nota spesso dimenticata dall’immaginario collettivo: anni fa fummo noi sette ad aver invitato la Russia a far parte del G7. Questo non lo dice più nessuno, mentre invece secondo me va ricordato anche dinanzi alla leggenda di una Nato che avrebbe provocato la Russia, che poi è stata costretta a intervenire in Ucraina. Certamente l’Occidente ha dato una prova di buona volontà perché invitò al G7 Mosca, ma poi i russi hanno invaso la Crimea e non sono stati più invitati.

Il G7 italiano si apre sotto le insegne del Piano Mattei: in attesa di apprenderne i contenuti nella conferenza programmatica di fine gennaio, come valuta l’intreccio con uno dei dossier più rilevanti che somma il versante euromediterraneo e quello africano?

Sarà un’occasione abbastanza importante la cui riuscita dipenderà da come verrà giocata da noi e da come risponderanno gli altri: naturalmente non è completamente nelle nostre mani, ma è un tema in cui l’Italia può far valere il fatto di essere propositiva. Io sono un vecchio diplomatico e mi permetto di osservare che il problema della politica estera italiana dopo la Seconda guerra mondiale è stato che le scelte sono sempre state scelte giuste: ovvero la Nato e l’Ue. Ma raramente l’Italia ha avuto un ruolo propositivo specifico su singoli dossier.

Cosa può cambiare oggi?

L’Italia ha l’opportunità di spingere sull’Africa dove il discorso del Piano Mattei è molto interessante, perché va molto al di là dell’emigrazione e degli sbarchi: il continente africano è formato da più di 50 Paesi dove si sta verificando la corsa delle grandi potenze per avere più influenza, Cina e Wagner in primis. Storicamente c’era il colonialismo ma oggi conviene alla comunità internazionale alle grandi democrazie, come siamo noi, avere una conduzione di sforzi sull’Africa e l’Italia può fare da apripista anche sull’Europa tramite il soft power. Non mi dispiacerebbe, ma è un’opinione personale, se per esempio l’Italia proponesse una fondazione per l’Africa proprio dedicata alle arti e alle humanities perché l’Africa è il continente del futuro.

La riunificazione dei Balcani occupa uno spazio importante nelle priorità de governo, si pensi al passo fatto verso l’Ucraina, ma senza dimenticare la lista d’attesa del costone balcanico: come procedere?

C’è un processo in corso di negoziato con questa Commissione che prima non c’era: ricordo il vertice europeo di Salonicco nel 2003 in cui si era promessa l’integrazione e che ancora non si è verificata ma adesso si sono aperti negoziati con diversi paesi. Voglio dire che il tema è molto più serio di prima e alcuni di questi paesi hanno anche aderito alla Nato. Dunque vedo l’aspetto strategico dei Balcani e la loro importanza per l’Europa che lei giustamente ha messo in luce accanto al modus in cui realizzare l’integrazione nelle istituzioni.

Si riferisce alla gestione amministrativa di una Ue a 35?

Esatto: una qualche riforma istituzionale, parlo di governance, si rende imprescindibile per rendere il sistema di governance europeo più efficace: non è una cosa banale, tutt’altro. Aggiungo che anche la Nato sta passando a 32 con la Svezia e l’Unione europea passerà a 35. Saremo in grado di gestire questi numeri? Non è un tema secondario perché riguarda le procedure, per cui superare l’unanimità credo sia veramente molto importante.

Il G7 italiano si apre con due guerre: come definire un quadro di intervento diplomatico e umanitario che sia davvero risolutore?

L’Italia, piaccia o meno, ha una posizione di politica estera chiara, un elemento positivo come emerge dalle indicazioni sull’Ucraina: abbiamo sempre fatto le scelte giuste e nessuno può accusarci di nulla. Avere avuto una posizione chiara rende ragionevole anche avere una voce nelle trattative, dopodiché la guerra in Ucraina sembra rafforzare la Russia, soprattutto perché in America si sentono degli scricchiolii e c’è il rischio che Trump vinca le elezioni. Ma farei attenzione a non trarre conclusioni di tipo calcistico, perché Kyiv mi sembra sia molto resiliente. Sarà una guerra di attrito ancora per molto tempo e poi in questo momento Putin alza il livello dello scontro anche perché ci sono le elezioni in Russia e lui le vuole vincere con un larghissimo margine.

Infine Gaza.

È il tema più difficile di tutti in realtà: innanzitutto l’America dimostra di essere l’unica vera grande potenza che esiste al mondo, perché noi abbiamo visto che tre giorni dopo gli attacchi di Hamas il presidente Biden è arrivato a Gerusalemme ed è stato l’unico a farlo. Stiamo attenti a parlare di declino americano: quando c’è da mettere qualcosa sul tavolo gli americani lo fanno ancora. Inoltre l’appoggio pubblico a Israele c’è da parte del presidente Biden che al contempo chiede a Netanyahu di contenere la reazione. Quello che ci sorprende è di vedere come Israele in realtà sembra non essere in linea con questa posizione americana: questa è la novità che possiamo sottolineare. Molto dipenderà dalla durata della guerra.

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