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Ecco come le grandi partecipate traineranno il piano Mattei

Le grandi imprese di cui lo Stato è azionista avranno un ruolo cruciale, se non decisivo, per la messa a terra degli oltre cinque miliardi di investimenti con cui il governo italiano punta a far fare all’Africa un salto di qualità, per troppo tempo atteso. Ecco chi investirà e dove

Per mettere a terra il primo, vero, sforzo europeo per l’Africa servirà il meglio della tecnologia, delle competenze, della manifattura e delle infrastrutture made in Italy. Ed è proprio per questo che la motrice saranno le grandi aziende italiane partecipate dallo Stato. Non è certo un caso se al Senato erano presenti, tra amministratori delegati e presidenti, i rappresentanti di dodici aziende controllate o partecipate dallo Stato tramite il Tesoro o Cassa depositi e prestiti, con la sola eccezione di Acea, il cui azionista di riferimento è il Comune di Roma (51%) e WeBuild, controllata dalla famiglia Salini.

PARTECIPATE PER L’AFRICA

I manager delle società partecipate e non, presenti a Palazzo Madama erano Claudio Descalzi, ceo di Eni, Flavio Cattaneo per Enel, Dario Scannapieco per Cassa depositi e prestiti, Pierroberto Folgiero per Fincantieri e Giuseppina di Foggia ceo di Terna. Non è finita. Per Leonardo ha partecipato il presidente Stefano Pontecorvo, mentre per Sace Alessandra Ricci. Presenti anche l’amministratore delegato di Simest, Regina Corradini d’Arienzo, il presidente di Ice, Matteo Zoppas, gli ad di Acea, Fabrizio Palermo, Snam, Stefano Venier e WeBuild, Pietro Salini.  Va da sé che le grandi aziende avranno un ruolo determinante nella messa a terra dell’intero piano, che avrà una prima durata quadriennale, accompagnandone lo sviluppo e gli investimenti. Ma quali investimenti?

ANATOMIA DI UN PIANO

Punto primo, i Paesi coinvolti. Ovvero il Marocco dove il governo intende realizzare un grande centro di eccellenza per la formazione professionale sul tema delle energie rinnovabili, l’Algeria per un progetto di monitoraggio satellitare sull’agricoltura, il Mozambico dove dovrebbe venire realizzato un centro agroalimentare che valorizzi le eccellenze, le esportazioni dei prodotti locali.

In Egitto il piano prevede invece un sostegno alla produzione di grano, soia, mais, girasole con un investimento in macchinari, sementi, tecnologie e nuovi metodi di coltivazione. In Tunisia le risorse saranno poi destinate al potenziamento delle stazioni di depurazione delle acque non convenzionali per irrigare un’area di 8 mila ettari e creare un centro di formazione dedicato al settore agroalimentare. Altri due progetti pilota saranno realizzati in Congo, per la costruzione di pozzi per la distribuzione dell’acqua soprattutto a fini agricoli alimentata da energia rinnovabile, e in Costa D’Avorio per il miglioramento dell’accessibilità dei servizi sanitari primari.

Poi ci sono gli ambiti di intervento. E cioè istruzione e formazione, per promuovere formazione e aggiornamento dei docenti e l’avvio di nuovi corsi professionali, l’agricoltura, con le iniziative per diminuire i tassi di malnutrizione, favorire lo sviluppo delle filiere agroalimentari e sostenere lo sviluppo dei bio-carburanti non fossili, la salute, per rafforzare i sistemi sanitari, migliorando l’accessibilità e la qualità dei servizi, anche per sviluppare strategie e sistemi di prevenzione e contenimento delle pandemie. Uno dei pilastri è l’energia: in questo capitolo c’è l’obbiettivo primario dichiarato, rendere l’Italia un hub energetico, un vero e proprio ponte tra l’Europa e l’Africa,

Gli interventi avranno al centro il nesso clima-energia, e punteranno su efficienza energetica e impiego di energie rinnovabili. Infine l’acqua. Qui gli sforzi riguarderanno la perforazione di pozzi, alimentati da sistemi fotovoltaici oltre a manutenzione e investimenti sulle reti di distribuzione e attività di sensibilizzazione sull’uso di acqua potabile.

SVILUPPO 

Scendendo ancora più nei dettagli e per tornare al ruolo delle partecipate nella realizzazione del piano che porta il nome del fondatore dell’Eni, uno dei capisaldi è certamente il ponte energetico, sponda elettrica, tra Europa e Africa. Ovvero Elmed, l’interconnessione Italia-Tunisia che sarà realizzata da Terna e Steg, il gestore della rete tunisina. Il nuovo collegamento metterà in comunicazione la stazione elettrica di Partanna (in provincia di Trapani) con una stazione corrispondente, nella penisola di Capo Bon (Tunisia). L’opera garantirà più sicurezza nell’approvvigionamento energetico e permetterà di aumentare la produzione da fonti rinnovabili.

Nell’agosto del 2023 Terna e Steg hanno firmato con la Commissione europea il Grant Agreement che dà il via al finanziamento di 307 milioni di euro destinato all’infrastruttura tra Italia e Tunisia. Un ulteriore passo in avanti verso la realizzazione del primo collegamento elettrico in corrente continua tra Europa e Africa. Per la prima volta, poi, i fondi comunitari Connecting Europe Facility sono stati assegnati a un’opera infrastrutturale sviluppata da uno Stato membro, l’Italia e da uno Stato terzo. E nel giugno del 2023 la Banca mondiale ha approvato un finanziamento di 268,4 milioni di dollari alla Tunisia proprio per il progetto.

Attenzione, tra le altre aziende italiane in campo c’è anche Snam, reduce dalla presentazione del piano industriale che guarda al 2027.  Dei 10 miliardi di investimenti previsti, ben 9 saranno destinati alle infrastrutture per il gas, tra gasdotti, stoccaggi e rigassificatori, con la finalità evidente di garantire al Paese il maggior grado di sicurezza energetica possibile. E gran parte degli sforzi della società controllata Cdp Reti, sarà canalizzato a rendere l’Italia il meno vulnerabile possibile dai contraccolpi della geopolitica sulle forniture di gas, anche e non solo per incrementare i flussi di metano in arrivo da sud e da sud-est, a cominciare dall’Algeria.

IL RUOLO DI ENI 

Non è finita. Il ruolo di playmaker andrà sicuramente a Eni, presente in Africa dagli anni 50, proprio grazie alle intuizioni di Mattei. Il Cane a sei zampe attualmente opera in 13 Paesi. Oltre metà della produzione e circa metà delle riserve di Eni sono in Africa e circa il 90% del gas prodotto è destinato al mercato locale, per assicurare l’accesso all’energia e contribuire alla crescita economica del Continente. Eni è oggi impegnata a migliorare l’accesso all’energia in Africa attraverso un ampio ventaglio di progetti, che spaziano dalla produzione di energia tradizionale a quella rinnovabile, inclusi i biocarburanti, senza considerare che il Cane a sei zampe ha investito, tra l’altro, nella creazione di centri di ricerca sulle nuove energie (Oyo in Congo e Solar Lab in Algeria) e su programmi educativi incentrati sul settore energetico

Non è da meno Enel che in Africa dal 2016 a oggi ha investito oltre 2,4 miliardi per 2,1 Gigawatt di solare ed eolico e 400 Megawatt per un impianto a gas. In Sudafrica il gruppo elettrico ha investito circa 1,5 miliardi di euro per 1,25 Gigawatt (quasi il 20% di tutta la capacità rinnovabile del Paese), mentre in Marocco è stato sostenuto uno sforzo da 650 milioni di euro per 384 Megawatt a gas (in partnership con l’utility marocchina Onee e Siemens Project Venture) di cui Enel ha avviato la cessione della quota.

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