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Cosa chiede l’Ungheria per non bloccare il pacchetto di aiuti Ue all’Ucraina

L’Ue fa progressi nella discussione sul pacchetto di aiuti per l’Ucraina. Ma sul processo continua a pendere la spada di Damocle ungherese. E anche sulla Step ci sono dei passi avanti

 

A Bruxelles, la sorte degli aiuti europei per l’Ucraina sembra registrare dei progressi. Nella riunione svoltasi mercoledì 10 gennaio, i rappresentanti dei ventisette Paesi membri hanno concordato l’avvio delle procedure di dialogo tra Parlamento e Consiglio per gettare le fondamenta “giuridiche” per il pacchetto da 50 miliardi di euro destinati a Kyiv.

A permettere questa evoluzione è stata la decisione dell’Ungheria di non porre il veto su questo singolo passaggio. Tuttavia, Budapest mantiene una posizione ancora scettica nei confronti del contenuto del pacchetto. Una questione spinosa, che con molta probabilità sarà centrale nella riunione dei capi di Stato e di governo e dell’Unione, prevista per il prossimo primo febbraio.

Nella giornata di ieri, il rappresentante ungherese ha già evocato quali possano essere i punti su cui lavorare per far sì che il suo Paese possa supportare il pacchetto di aiuti all’Ucraina. Il primo è la questione temporale: anziché un blocco unico, Budapest preferisce suddividere il pacchetto in più scaglioni che andrebbero approvati a cadenza annuale; in questo modo sarebbe possibile per l’Ungheria di Viktor Orbàn rifiutarsi di approvare gli scaglioni successivi al primo, o acconsentire a farlo in cambio di ulteriori concessioni, seguendo quello che un esponente diplomatico dell’Unione europea contattato da Politico ha definito come uno “stato d’animo transazionale”.

Parallelamente, Budapest sta promuovendo l’estensione della data di scadenza del Recovery Fund oltre la sua data di scadenza naturale, prevista per il 2026. Tale estensione permetterebbe all’Ungheria di avere più tempo per sbloccare la sua quota di finanziamenti, che al momento è stata bloccata dalle istituzioni di Bruxelles, preoccupate dall’approccio ungherese allo stato di diritto e alla corruzione dilagante. Ma ad osteggiare l’idea di Budapest ci sono i cosiddetti “Paesi frugali”, che sottolineano come questo provvedimento sia stato concepito esclusivamente per fronteggiare l’emergenza Covid, e non come fondo a cui attingere per altri scopi.

Ma il pacchetto di aiuti non è stato l’unico tema discusso dai rappresentanti europei, che hanno dato il via libera al dialogo Consiglio-Parlamento anche per la cassa comune destinata al finanziamento degli investimenti nelle energie rinnovabili, nota come piattaforma Step. Anche in questo caso si è trovato un compromesso: i “frugali” hanno promosso la riduzione nella quantità di risorse finanziarie destinata alla piattaforma; ma in cambio i Paesi “spendaccioni” hanno ottenuto un maggiore margine di manovra per spendere i fondi di coesione a sostegno delle industrie nazionali.

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