Secondo l’esperta dello Iai, il Piano Mattei rappresenta un’opportunità. Ma è necessario accrescere gli investimenti, al momento troppo limitati. E offrirgli un respiro internazionale dentro e fuori l’ambito comunitario
La conferenza Italia-Africa segna un passo in avanti nell’approccio italiano al continente sito al di là del Mediterraneo. Ma nell’approccio attuale, e nella sua iniziativa di punta, persistono alcune criticità. Formiche.net ne ha parlato con Nicoletta Pirozzi, responsabile del programma “Ue, politica e istituzioni” dell’Istituto Affari Internazionali.
Il Piano Mattei rappresenta un punto di svolta per l’Italia?
Sicuramente è stata un’iniziativa apprezzata sia da esperti che dalla comunità di interlocutori che si occupano di Africa e di rapporti con l’Africa, proprio perché si sentiva il bisogno di avere una strategia nazionale che potesse rilanciare le relazioni tenendo conto anche dei temi caldi del momento, come transizione energetica, agenda climatica e migrazioni. Tuttavia, fino a questo momento è difficile dare un giudizio oggettivo, perché abbiamo visto ancora troppo poco. Fino ad ora abbiamo visto un decreto adottato dal governo, finalizzato a impostare la governance del Piano con i primi fondi, seguito, nel contesto della conferenza Italia-Africa, dall’annuncio dei primi progetti. Che però non hanno dato grande soddisfazione agli osservatori.
Perché?
In primis perché non si riesce a vedere quale sia la strategia complessiva guardando ai progetti annunciati, che peraltro sono gli stessi già presentati dal presidente Consiglio e dal ministro degli Esteri. Ma c’è molto poco anche per quel che riguarda la documentazione ufficiale del piano. E anche per quanto riguarda le risorse. Ad oggi i fondi disponibili sono solo 5 miliardi e mezzo di euro, che in parte saranno presi dai fondi per la cooperazione e lo sviluppo, un basket già abbastanza povero in proporzione in Italia rispetto al bilancio, e in parte dal “Fondo per il Clima” gestito da Cassa Depositi e Prestiti. Quindi in realtà non ci sono risorse nuove, ma si mettono al servizio del piano risorse già esistenti.
Il Piano Mattei si colloca in continuità con i progetti europei verso l’Africa, come ad esempio il Global Gateway?
Senz’altro. I temi del Piano Mattei sono gli stessi temi che ritroviamo nel Global Gateway europeo. In generale anche l’obiettivo è molto simile: segnalare una presenza (italiana o europea) nel continente africano che riesca in qualche modo a controbilanciare alcuni attori molto dinamici, e in alcuni casi molto aggressivi, che spesso sono nostri competitor sul piano internazionale, come Cina e Russia ma anche Turchia e Paesi del Golfo. Però sia nel caso italiano che nel caso europeo c’è un po’ di difficoltà a capire come queste iniziative riescano effettivamente a controbilanciare quelle ben più imponenti di questi grandi attori. Penso comunque che senza una europeizzazione di questo Piano Mattei l’Italia riuscirà a fare ben poco, almeno dalle premesse. Questa “europeizzazione” è necessaria. Un po’ perché, appunto, non ci sono abbastanza risorse sul piano nazionale. Un po’ perché è anacronistico pensare che un singolo Paese europeo, anche un Paese come l’Italia che è molto vicino al continente africano e rappresenta il ponte tra le due sponde del Mediterraneo, possa fare da solo in un continente così vasto rispetto ai competitor internazionali. Se invece il piano sarà poi inserito in una più ampia cornice europea, e ci saranno investimenti aggiuntivi, allora ha la possibilità di diventare un game-changer nelle relazioni con l’Africa.
Secondo quali dinamiche andrebbe realizzata questa “europeizzazione”?
Sinceramente credo ci sia consapevolezza nel governo rispetto al fatto che questa sia la strada da percorrere. Basti pensare al fatto che si sia cercata la presenza di tutte le istituzioni europee alla conferenza Italia-Africa, che è stata anche l’occasione di siglare accordi aggiuntivi tra Commissione Europea e Unione Africana nell’ambito del Global Gateway. Quindi una prima veste europea si è già data all’iniziativa. Ma nei prossimi mesi e nei prossimi anni bisognerà capire come allineare gli obiettivi del piano a quelle europei. E anche cercare degli alleati in Europa che aiutino nel realizzare questa iniziativa. L’assenza dei principali attori europei alla conferenza Italia-Africa non è sfuggita. L’Italia ha difficoltà a promuovere una strategia congiunta con attori come la Francia, che è l’altro attore maggiormente profilato nel continente africano. L’Italia dovrebbe individuare alcune linee-guida su cui concentrarsi, perché pensare di trasformare le relazioni Europa-Africa soltanto partendo da Roma mi sembra troppo ambizioso. Concentrandosi ad esempio sulla regione del Sahel, dove la Francia è dovuta di fatto uscire perché ormai fortemente contestata, e dove il vuoto che si è creato è stato riempito dalla Russia e da altri attori; ma anche sulla sponda sud del Mediterraneo, interfacciandosi con attori come la Libia e la Tunisia. Ma servono delle strategie molto più elaborate e focalizzate rispetto a quelle viste sino ad ora.
Per allargare il respiro del Piano, Roma dovrebbe agire più sulla dimensione comunitaria, o piuttosto battere le strade bilaterali con gli altri grandi attori europei?
Entrambe le cose. Dal punto di vista delle istituzioni, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha già dato un’apertura di credito importante al governo italiano. Ricordiamoci che la Commissione resta il principale attore europeo in Africa, anche perché è quello che gestisce i fondi che vengono investiti nel continente. Questo un avvicinamento può essere ascrivibile a diversi motivi, non ultimo quelli politici-elettorali della von der Leyen, che vede di buon occhio una collaborazione con Giorgia Meloni in quanto presidente del gruppo Conservatori e Riformisti Europei. Quello che manca sono alleanze con le altre capitali europee che riguardino specificatamente il Piano. Questo è un’iniziativa che è stata lanciata dal governo italiano senza consultare la controparte africana, come sottolineato dal presidente dell’Unione Africana, ma senza nemmeno consultare gli altri partner europei. In mancanza di un forte appoggio internazionale, è difficile pensare che il piano decollerà.
Il Piano Mattei si incentra prettamente sulla dimensione economico-sociale. C’è spazio anche per la cooperazione securitaria e militare?
Per il momento non rientra negli obiettivi del piano. Per quello che si evince dai primi annunci, l’obiettivo sarebbe rendere gli Stati africani esportatori energetici, e al contempo avere un sostegno nella gestione del fenomeno migratorio in cambio di progetti e fondi per lo sviluppo. Quindi per il momento tutto ciò che riguarda la cooperazione securitaria e militare resta fuori dal Piano. Non escluderei che nel piano potessero rientrare anche cooperazioni di tipo militare-securitario, qualora esso divenisse a livello strutturale la strategia italiana verso l’Africa. Ma come detto, servono ben altre risorse e un piano di lungo periodo molto più articolato. E al momento è qualcosa che non esiste di fatto.