Dopo le dimissioni di Elisabeth Borne, il nuovo premier nominato dall’Eliseo è Gabriel Attal. Giovane politico, dal grande consenso personale che interpreta appieno lo spirito macroniano. La scelta dell’Eliseo ha una duplice valenza: contenere i danni per le europee e lavorare per la successione alla presidenza nel 2027. Conversazione con il docente Luiss
Il “colpaccio politico” di Emmanuel Macron porta il nome di Gabriel Attal. Il trentaquattrenne già ministro dell’Istruzione è il nuovo primo ministro. Dopo le dimissioni di Elisabeth Borne, il titolare dell’Eliseo ha calato l’asso. Un’operazione politica che ha una duplica valenza: una più prossima in vista dell’appuntamento elettorale di primavera e l’altra più prospettica con lo sguardo rivolto alle elezioni presidenziali del 2027. “La nomina di Attal ha una valenza politica strategica molto interessante sia per Macron, che per la competitività del suo partito”. A dirlo a Formiche.net è Jean-Pierre Darnis, professore di Storia contemporanea alla Luiss di Roma e di Storia delle relazioni italo-francesi all’Università di Nizza.
Partiamo dalle dimissioni di Borne che hanno portato alla successiva nomina di Attal. Come sono da leggere questi due fatti politici?
Borne non se ne va per insuccessi politici. La legge sull’immigrazione è stata senz’altro un boccone amaro, ma il suo lavoro come primo ministro è stato apprezzato. Attal rappresenta, come ho detto, un’operazione politica molto interessante per Macron e per il suo partito. È una figura che rappresenta appieno lo spirito macroniano, è giovane, ha già avuto incarichi molto prestigiosi e gode di un altissimo gradimento personale.
Come incide questa scelta sull’appuntamento elettorale di primavera?
Le europee sono il primo punto da tenere in considerazione nella scelta di Macron. A fronte di un Rassemblement National sempre più arrembante e forte, oltre che rinnovato nella classe dirigente (basti pensare a Jordan Bardella), con la nomina di Attal, il presidente francese tenta un’operazione di riduzione del gap di consensi tra i due partiti. O per lo meno tenta di limitare le perdite. D’altra parte il partito di governo non si può permettere di uscire dalle urne a pezzi. E il nuovo premier può essere la figura giusta per tentare di invertire il trend discendente del partito di Macron. Non solo. In termini comunicativi, la scelta di un giovane (e del ringiovanimento del partito e dell’esecutivo) è strategica.
Attal eredita il testimone del presidente francese in vista del rinnovo al vertice dell’Eliseo nel 2027?
Sicuramente Attal può essere un papabile candidato alla guida dell’Eliseo dopo Macron, anche in ragione del fatto che l’attuale presidente non è più ricandidabile avendo già fatto due mandati. C’è, però, in questa nomina una forma di rischio per il neo premier.
Quale sarebbe?
Quello di bruciarsi. Se da un lato essere nominato come seconda carica – nel ranking istituzionale francese – gli darà grande credibilità in caso di successo, dall’altro qualora le cose non dovessero marciare nel verso giusto il rischio è che la sua carriera politica possa essere messa a repentaglio. Va detto comunque che Attal ha già dimostrato in più occasioni di essere un politico molto capace.
Lei pensa che a fronte di questa nomina il Rassemblement National aumenterà il fuoco di fila contro governo e presidenza?
Il RN national può fare tutto il battage che vuole e, in qualche misura, essendo un partito di opposizione me lo aspetto. Qualsiasi cosa avesse deciso Macron non sarebbe andata bene. Ma le loro grida conteranno poco. Probabilmente diranno qualsivoglia nefandezza, perché in fondo sanno che la nomina di Attal è rischiosa anche per loro in termini elettorali.
Dunque è una scelta di continuità anche sul fronte della politica estera.
Certo. Il premier è un esecutore della linea dettata dall’Eliseo. Per cui la continuità anche sul versante della politica estera sarà garantito nella maniera più assoluta. Macron scrive lo spartito, il premier dirige l’orchestra per eseguirlo.