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Tra fiducia e rating. Anche per la Bce il debito (italiano) costa meno

Nel suo Bollettino Francoforte chiarisce come il ripiegamento dello spread e il suo successivo immobilismo sia stato dovuto alla triplice promozione incassata dall’Italia lo scorso autunno. Ora Palazzo Chigi ha una carta in più da giocare per la prossima manovra. Anche perché c’è la variabile tassi

Giorgia Meloni lo aveva detto nel corso della sua conferenza stampa di fine anno: la prossima manovra, quella del 2025 per intendersi, verrà finanziata verosimilmente anche dalle risorse risparmiate dal minor costo del debito italiano, anche sull’onda di una più che probabile sforbiciata ai tassi da parte della Bce. Non sempre è facile fare previsioni di lungo termine, specialmente quando c’è di mezzo la finanza pubblica. Ma stavolta degli elementi ci sono e sono tutti nero su bianco nell’ultimo bollettino diffuso in queste ore dalla Banca centrale europea.

Il messaggio di fondo è più o meno questo: il fatto di aver incassato tra ottobre e novembre una triplice promozione da parte delle agenzie di rating, ha permesso al governo italiano di tenere a bada i mercati e dunque lo spread tra i Btp e i Bund. Il quale, come raccontato da questa stessa testata, ha passato indenne e senza sussulti anche il delicato test del Mes. Dunque, la fiducia trasmessa dall’esecutivo agli investitori si è tradotta a sua volta in atto di fede verso l’Italia, mantenendo sotto i livelli di guardia il costo del debito.

“Lo spread, il differenziale dei tassi tra i titoli di Stato dell’Italia e quelli della Germania è tornato a calare sul finale dell’anno passato, dopo che le agenzie di rating hanno confermato le loro valutazioni di affidabilità creditizia sull’Italia”, ha scritto l’Eurotower. “L’incremento registrato all’inizio del periodo in esame (prima dell’autunno, ndr) dal differenziale sui titoli di Stato italiani si è poi attenuato in quanto le agenzie di rating hanno confermato le proprie valutazioni sull’Italia”.

Più in generale, secondo la Bce “i rendimenti dei titoli di Stato dell’area dell’euro hanno registrato una flessione pressoché analoga a quella dei tassi privi di rischio e i differenziali sono rimasti quasi invariati. Il rendimento dei titoli di Stato dell’area dell’euro a dieci anni ponderato per il Pil è diminuito di circa 40 punti base, attestandosi al 2,8 per cento”. Tutto questo porta a una prima conclusione. E cioè che se ad oggi l’obiettivo del governo è quello di assicurarsi parte delle risorse da un costo del debito contenuto rispetto a mesi fa, tale obiettivo può essere raggiungibile. Non è certo un caso se il debito pubblico italiano non è più oggi il più costoso d’Europa. Nel 2023, secondo le stime della Banca centrale ungherese, Budapest ha pagato interessi sul debito pari al 4,3% del prodotto interno lordo. Mentre, stando ai calcoli di Bloomberg, invece, l’anno scorso l’Italia ha sborsato oneri pari soltanto al 3,8% del pil, comunque più della Grecia (3,5%), della Spagna (2,4%) e della Polonia (2,1%).

E poi c’è un secondo aspetto. Le stime che vogliono per il 2024 il pagamento di 90 miliardi di interessi sul debito, vale a dire le cedole legate ai titoli emessi, sono ancora valide. Ma potrebbero ridursi nel corso dell’anno, se per esempio lo spread diminuisse ancora. E se, come sembra i tassi dovessero diminuire. Cosa che, per tornare al bollettino della Bce, pare plausibile.  Francoforte si attende “un nuovo, temporaneo probabile” riaumento dell’inflazione nell’area euro sul breve periodo “a causa degli effetti base al rialzo dei prezzi dei beni energetici”. Mel nel documento ribadisce la previsione secondo cui “malgrado l’atteso aumento temporaneo dell’inflazione, il processo di disinflazione relativo alla componente di fondo dovrebbe proseguire”. Tradotto, l’inflazione nel suo complesso scenderà ancora. E con essa i tassi.

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