Nonostante i limiti all’export imposti da Washington, Pechino riesce comunque a rifornirsi dei materiali tecnologici di alta fascia americani, anche se in piccole dosi. Come? Alcune società sarebbero collegate anche all’esercito per fini militari, proprio quelli a cui la Casa Bianca non vuole contribuire
“Se veniamo a sapere che un cliente ha effettuato una rivendita illegale a terzi, prenderemo provvedimenti immediati e appropriati”. A dirlo è stato un portavoce di Nvidia, la rivendita illegale interesserebbe alcuni chip di intelligenza artificiale di alta fascia, quel “terzi” si riferirebbe alla Cina. Gli Stati Uniti sembrano fare una fatica tremenda nell’imporre il rispetto delle restrizioni imposte all’export di materiali tecnologici sensibili verso il Paese rivale. La conferma sta nelle parole sopra citate, in riferimento alla vendita di alcuni piccoli lotti di semiconduttori di elaborazione afica, che sarebbero stati acquistati illegalmente a dozzine da entità cinesi.
Tra queste figurano università, società di ricerca ed aziende legate alla difesa. Quindi per scopi militari, proprio quelli a cui Washington vorrebbe evitare di contribuire con la propria tecnologia. Giusto per citarne un paio: l’Harbin Institute of Technology e l’University of Electronic Science and Technology of China, collegate a un corpo militare cinese o comunque invischiate in questioni militari. Nelle gare d’appalto lette da Reuters – tenute al di fuori del pubblico dominio in Cina per la sensibilità dell’argomento – si legge che tra gli acquirenti figurano dei soggetti anonimi legati all’Esercito popolare di liberazione, con sede nella città di Wuxi vicino a Shangai, che avrebbe chiesto ad ottobre tre chip A100 e un chip H100 in questo mese.
A quanto pare dunque le maglie sono molto larghe da lasciar passare diversi prodotti. Non è di certo la prima volta che viene data una notizia simile, ma la particolarità di quella data da Reuters riguarderebbe l’estraneità di Nvidia alla questione. Rendendola dunque ancor più spinosa e controversa. Tra le spedizioni figurano quindi i chip A100 e quello ancor più potente H100, così come i processori meno performanti come A800 e H800: i primi sono stati vietati dal settembre del 2022, i secondi un mese più tardi. Ma entrambi sono finiti nelle mani di Pechino.
Come scritto si parla di quantità minime, che non permetterebbero agli sviluppatori cinesi di realizzare un proprio modello linguistico di intelligenza artificiale. Ad esempio, per costruirne uno simile a quello di OpenAI (Gpt), servirebbero oltre 30mila processori Nvidia A100. Ma averne di meno non è un grosso problema, perché può comunque essere utile per migliorare e perfezionare i modelli già sviluppati.
La vicenda farà naturalmente discutere, a maggior ragione se venisse confermata l’estraneità di Nvidia. Il che lascia intendere come esista un sottomondo che permette alla Cina di rifornirsi del materiale americano. Senza cui non può andare avanti, sebbene negli ultimi tempi abbia dato grande risalto alla produzione nazionale. Ma ad ogni modo le sue aziende non riescono a stare al passo con quelle rivali, compreso il suo colosso Huawei.
Uno dei sotterfugi con cui le aziende cinesi riescono ad accaparrarsi i chip statunitensi è dalle scorte in eccesso, formatesi dopo lo scambio. In altri casi fanno invece sponda su mercati alternativi, come Giappone e Paesi Bassi, alleati degli Usa nella lotta all’export verso Pechino. In altri ancora si riforniscono direttamente dall’America e nessuno sa come possa riuscirci, come in questo caso.