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Grandi contro piccole. Il grande freddo tra le banche cinesi

Gli istituti minori sono troppo indebitati e troppo esposti al mattone. E così quelli più grossi non se la sentono più di continuare a prestare denaro ai loro cugini

Il capodanno cinese deve ancora cominciare (10 febbraio), ma il 2024 del Dragone è a tutti gli effetti già cominciato. Già in salita. Come raccontato nelle settimane scorse da questa testata, gli atavici problemi della seconda economia globale, debito in testa, con ogni probabilità porteranno a una crescita al di sotto degli obiettivi del partito, ovvero il 5%. Ma la sensazione è che si possa fare anche di peggio, specialmente se le banche cominciano a pestarsi i piedi tra di loro, chiudendo i rubinetti del credito. In tutti i sistemi avanzati, e la Cina è tra questi, gli istituti di credito si prestano denaro tra loro, con specifici tassi (in Europa, per esempio, c’è l’Euribor), al fine di finanziarsi a vicenda.

Ora, il fatto che le banche cinesi di piccola taglia, quelle di territorio, periferiche e legate a doppio filo al mattone, siano costantemente a un passo dal default a causa dell’impennata delle sofferenze (soldi prestati ai giganti dell’immobiliare che, falliti, non hanno potuto rimborsare il denaro) sta creando un problema di fiducia in quelle più grandi. Le quali non se la sentono più di finanziare le loro consorelle più piccole, proprio a causa del rischio aumentato di insolvenza da parte di queste ultime.

Alcune delle principali banche del Dragone hanno in questo senso deciso di rafforzare il controllo sulla qualità degli asset delle banche più piccole, inasprendo gli standard per i prestiti interbancari, nel tentativo di contenere il rischio di un corto circuito. Se infatti un istituto finanzia un altro e questo non rimborsa il dovuto, l’intero sistema bancario cinese può saltare per aria. Il problema è che senza l’aiuto delle banche più grandi, difficilmente quelle minori potranno sostenere i territori e le economie globali. Una tutti contro tutti che può risultare micidiale.

E comunque a rischiare di più sono proprio gli istituti con le spalle meno larghe. Mentre infatti le banche più grandi utilizzano principalmente i depositi dei clienti per finanziarsi, applicando le commissioni, gli istituti di credito più piccoli si appoggiano per tradizione a quelli più grandi. Tutto questo mentre decine di economisti interpellati dalla autorevole testata Nikkei sulle prospettive economiche della Cina hanno concordano sul fatto che il Pil della Cina nel 2024 non andrà oltre il 4,6%.

Questo per un motivo molto semplice: le politiche di rilancio messe a terra fin qui dal governo non hanno prodotto gli effetti sperati. Per esempio, i tassi molto ridotti non hanno rianimato la domanda interna e dunque i prezzi. Né tanto meno rimesso in piedi il mercato immobiliare, a un passo dalla disintegrazione. Per tutti questi motivi, dicono gli esperti, il 2024 porterà a Xi Jinping poco dolce e tanto carbone.

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