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La Cina non cresce e invecchia. Il 2024 del Dragone è forse peggio del 2023

Lo scorso anno il Pil del Dragone si è fermato al 5,3%, portandosi su valori ai minimi da trent’anni. E per il secondo anno consecutivo ci sono poche culle e tanti anziani. Ora guardarsi le spalle dall’India diventa l’imperativo per Pechino. Sempre che non sia troppo tardi

Scherzi della pandemia. Nelle ore in cui il Wall street journal accusa la Cina di aver isolato il Covid due settimane prima di annunciare al mondo la diffusione del virus, il Dragone rivive i suoi peggiori incubi. Scarsa crescita, crisi demografica, export in ritirata, scarsa fiducia dei mercati e l’immancabile crisi del mattone, dunque anche bancaria. Ce ne è abbastanza per guardare nello specchietto retrovisore e aspettarsi da un momento all’altro il sorpasso dell’India, già avanti Pechino sul fronte delle nuove nascite e della crescita e persino della Borsa.

L’Ufficio di statistica, nel diffondere i dati definitivi sulla crescita nel 2023, ha avuto pochi dubbi. Il tachimetro della Cina si è fermato al 5,3%, dato sì nelle attese dello stesso partito, che all’inizio dello scorso anno aveva fissato l’asticella oltre il 5%. Ma pur sempre il più basso degli ultimi 30 anni. E questo è un problema per un’economia che non solo deve guardarsi le spalle dall’India, ma anche dalle sanzioni dell’Occidente comminate alla Russia e, di riflesso, ai suoi alleati.

Ma la lista degli orrori non finisce qui. Il fronte demografico rimane il vero problema cinese. A 11 anni dall’abolizione della politica del figlio unico, si registra un calo delle nascite per la seconda volta consecutiva mentre la disoccupazione giovanile, i dati erano rimasti nel cassetto per un semestre, corre sempre a doppia cifra. Questo significa che non solo il Dragone invecchia e l’India ringiovanisce, ma anche che i giovani cinesi non lavorano come dovrebbero. E chi ci rimette è sempre la crescita.

Non è tutto. Gli investimenti in asset fissi sono aumentati del 3% su base annua ma non si traducono in sviluppo mentre calano lievemente i prezzi delle nuove case a Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen (-0,4% a dicembre), troppo poco per poter dire che la Cina è fuori dalla bolla che ha colpito il mattone. La verità è che l’obiettivo di crescita del 5% fissato da Pechino per il 2023 non è bastato a far tornare alla normalità, famiglie e imprese. La pandemia, insomma, non è stata superata ancora.

E anche sul fronte delle alleanze non va molto bene. Come raccontato da questa testata le banche cinesi di proprietà statale hanno inasprito i limiti ai finanziamenti di clienti russi, dopo l’approvazione da parte degli Stati Uniti di sanzioni secondarie contro le istituzioni finanziarie che assistono lo sforzo bellico della Russia in Ucraina. Nelle ultime settimane almeno due banche hanno in tal senso intrapreso una revisione dei loro legami d’affari con la Russia, concentrandosi in particolare sugli accordi transfrontalieri. Stando alle fonti, gli istituti di credito del Dragone potrebbero interrompere le relazioni con soggetti sottoposti a sanzioni e smettere di fornire servizi finanziari all’industria bellica russa.

Qualcuno dovrebbe spiegarlo a Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo, per il quale, parole di oggi, “le relazioni con la Cina stanno vivendo la fase migliore della loro storia secolare. Per noi è particolarmente prezioso che Xi Jinping abbia effettuato la sua prima visita di Stato dopo la sua rielezione a presidente della Repubblica popolare cinese nel marzo 2023 a Mosca”.

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