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Così l’appoggio di Tokyo a Kyiv difende l’Occidente e le democrazie

La visita della ministra giapponese in Ucraina serve a dimostrare la compattezza dell’Occidente in difesa di Kyiv, e a evitare che Corea del Nord o Iran (o Cina) appaiano, anche agli occhi del Global South che osserva, alleati migliori e più affidabili

Un momento di raccoglimento per le vittime di Bucha, dove la spietata violenza russa ha toccato livelli mostruosi; un messaggio di sostegno a Kyiv perché è quel sostegno che permetterà alla “pace di essere ripristinata”; l’annuncio dello stanziamento di 37 milioni di dollari con cui la Nato potrà acquistare un sistema anti-droni per difendere l’Ucraina. La visita a sorpresa della ministra Yoko Kamikawa, da settembre scorso a capo della diplomazia giapponese, è più che un segnale di sostegno a Kyiv, e diventa un messaggio di unità occidentale.

E quei 37 milioni di dollari — a cui aggiungere cinque generatori mobili a turbina a gas e sette trasformatori e un più generico impegno a sostenere l’istruzione, il sistema sanitario e la costruzione di rifugi per donne e bambini — ne sono immagine diretta. I fondi sono stati messi a disposizione della Nato, alleanza con cui il Giappone sta costantemente aumentando l’integrazione. Ed è questo il primo elemento. A cui aggiungere un altro incrocio dal valore politico internazionale: il sistema che verrà acquistato anche tramite con il finanziamento giapponese permetterà di difendere il territorio ucraino dai droni kamikaze lanciati dalla Russia, che li acquisisce a sua volta dall’Iran — a cui ad agosto il Giappone aveva chiesto di interrompere le forniture a Mosca.

Da aggiungere un dettaglio non indifferente su come i destini asiatici ed europei si fondano, e su come la guerra russa in Ucraina abbia evidenziato raggruppamenti che trovano condivisione di quei destini. La Russia sta usando missili  nordcoreani per attaccare l’Ucraina, e a sua volta — come sottolinea l’esperto Rob Lee su X — l’offensiva estiva dell’Ucraina è stata resa possibile da un grosso carico di munizioni di artiglieria proveniente dalla Corea del Sud.

Di più: il governo nipponico sta ultimando la decisione di inviare agli Stati Uniti i missili terra-aria Patriot, prodotti in Giappone sotto licenza di Raytheon. La decisione segna un’evoluzione strategica e identitaria, un nuovo approccio per i Tokyo, dato che l’esportazione militare è vietata in Giappone, ma una revisione dei principi potrebbe consentire l’invio di prodotti finiti agli Usa, il cui arsenale è a corto per i trasferimenti in ambito Nato, all’Ucraina e il dispiegamento in Medio Oriente davanti alla crisi regionale prodotta dalla guerra di Gaza.

Se si considerano le attività di Seul e Tokyo e la presa di posizione di Taipei a favore di Kyiv, allora appare chiaro come gli alleati asiatici americani non vedono un impegno in Ucraina come un calo di attenzione nell’Indo Pacifico, fa notare Shanshank Joshi, responsabile del tema Difesa all’Economist. Ossia, non è vero che quello che alcuni in Occidente dicono a proposito della necessità di evitare un eccessivo coinvolgimento in Ucraina perché in quel modo si finisce di de-prioritarizzare il confronto con la Cina, rivale numero uno. A Tokyo (ma anche a Seul e Taipei) percepiscono che tutto è collegato.

Un mondo in cui Kyiv soccombe alla violenza di Vladimir Putin sarà un mondo in cui per americani ed europei, giapponesi sudcoreani o taiwanesi, sarà più complicato vivere perché le regole democratiche verranno meno. E che dire se Corea del Nord o Iran o Cina risultano alleati migliori — fornendo assistenza alla Russia — di Usa, Ue o Giappone e Corea del Sud, gli alleati ucraini (Paesi dove c’è, grazie al dibattito democratico, chi contesta l’impegno pro-Kyiv)? Cosa potrebbero pensare sull’affidabilità dei partner gli Stati del Global South africano o asiatico, oppure i grandi attori in crescita dal Medio Oriente all’Indo Pacifico?

Tutto mentre la Russia sfrutta l’inverno per una campagna militare potente — attacchi aerei su Kyiv e movimenti di truppe verso Kharkiv — che ha anche come obiettivo mettere a nudo le carenze militari ucraine e dunque indurre pressioni psicologiche per portare gli invasi a una qualche negoziazione. E tutto mentre in Ue si assiste al sisma prodotto dalla scelte personale di Charles Michel, che si candiderà alle Europee e dunque dovrà lasciare il ruolo di presidente del Consiglio Europeo, e senza un rapido e deciso accordo le sue funzioni andranno in mano al leader ungherese Viktor Órban —  che ha ripetutamente cercato di ostacolare gli aiuti militari all’Ucraina sin dall’inizio del conflitto.

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