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Confiscare i beni russi nei Paesi del G7. Ecco come continuare ad armare Kyiv

Dai maggiori controlli sull’export delle tecnologie all’invio di sistemi a lunga portata, fino alla requisizione dei beni posseduti dalla banca centrale russa. Secondo gli esperti, queste sono le dinamiche chiave nella guerra in Ucraina a due anni dalla sua deflagrazione

“Make Russia Pay”. Uno slogan semplice e conciso, ma pieno di significati concreti. È una delle iniziative promosse dall’International Centre For Ukrainian Victory, che in questo momento è impegnato a propugnare tale causa in tutte le capitali europee. La logica è semplice: confiscare i beni europei della banca centrale russa per sostenere lo sforzo bellico e la ricostruzione del Paese invaso. “La Russia è responsabile dell’invasione, c’è un consenso condiviso su questo, ed è giusto che le sue ricchezze siano confiscate per fornire all’Ucraina tutte le risorse necessarie” è la posizione espressa da Olena Halushka, co-fondatrice del centro e capo della sezione Relazioni Internazionali dell’Anti-Corruption Centre di Kyiv. “Beni dal valore totale di più di 300 miliardi di dollari sono presenti sul territorio di tutti i Paesi del G7. Sono beni sovrani della Banca Centrale Russa, motore economico dell’industria bellica di Mosca. Per i beni privati, come sostengono alcuni, non ci sono le basi giuridiche per procede con la confisca. Ma non è questo il caso”. Una soluzione che piace: poche ore fa l’ex-presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick ha espresso il suo sostegno a questa misura con un articolo a sua firma pubblicato dal Financial Times. E da qualche settimana l’amministrazione statunitense sta esaminando nel dettaglio la proposta.

Quello che manca è la volontà politica di compiere questo gesto. Fino ad ora, l’Occidente e i Paesi affini si sono limitati soltanto ad imporre sanzioni che non sono state in grado di fermare la macchina da guerra di Mosca. L’economia russa si è adattata alle sanzioni, e ha capito come aggirarle. Tata ha poco più di vent’anni. Prima era una studentessa di diritto internazionale, adesso guida un’unità di Medevac: con la sua ambulanza raccoglie i feriti e fornisce loro i primi soccorsi, mentre li trasporta verso strutture capaci di fornire loro le cure necessarie. Come personale medico disarmato, la Convenzione di Ginevra li considera neutrali. Ma al fronte, sono oggetto di attacchi continui da parte dei russi. “Una volta, la mia unità è stata bersagliata da un drone kamikaze russo. Il drone è scoppiato vicinissimo a noi, ma fortunatamente ne siamo usciti illesi. Abbiamo raccolti i pezzi e li abbiamo portati a farli analizzare, ed è uscito fuori che fossero pezzi di manifattura occidentale”, racconta. Anche se la loro esportazione è proibita, questi componenti passano attraverso una serie di Paesi “insospettabili” e finiscono in Russia. Ci sono componenti occidentali anche nei famigerati Kinzhal.

“L’Occidente non può restare a guardare, gli aiuti ci servono adesso. Eppure negli Stati Uniti sono bloccati al congresso, e in Europa pesa il veto dell’Ungheria. C’è il rischio che arrivino troppo tardi. E Putin non si fermerà: dopo l’Ucraina ci sarà l’Europa”, rimarca, facendo eco a Volodymyr Zelensky, la senior fellow del Foreign Policy Research Institute Olena Snigyr. Senza le guerre, la narrazione del regime al potere in Russia verrebbe meno, così come il suo supporto popolare. Dalla sua ascesa al potere, il regime di Vladimir Putin è stato segnato da varie guerre, a intervalli sempre più brevi l’una dall’altra, “necessarie a mantenere salda la sua presa sulla popolazione. Per questo ogni compromesso è inutile: servirebbe soltanto al Cremlino per riprendere fiato e accumulare forze sufficienti ad un nuovo assalto contro l’Ucraina. E dopo l’Ucraina rimane l’Europa, su cui Putin ha già messo gli occhi stando a quanto riportato da diversi servizi di intelligence”. Non solo Berlino, ma anche Londra e Tallin prevedono un’escalation militare tra la Russia e l’Alleanza Atlantica entro il 2030.

Per questo è importante respingere l’azione militare di Mosca, e non arrivare a compromessi nonostante lo stallo. “L’Occidente deve farlo, non può mostrarsi debole. È una questione reputazionale. Ho visto con i miei occhi come la scarsa reattività dell’Occidente e della Nato viene considerata dai policy makers del resto del mondo, e non è una bella considerazione”. Le parole di Hanna Hopko, presidente del National Interests Advocacy Network “Ants”, co-fondatrice dell’International Center for Ukrainian Victory, nonché già presidente della Commissione Affari Esteri del Parlamento ucraino, sono dure ma sincere. Fermare la Russia serve a mandare un segnale da parte delle democrazie liberali al fronte dei regimi autoritari. Se l’invasione russa non viene respinta, Pechino non avrà rimorsi ad agire militarmente verso Taiwan. Se invece Putin esce sconfitto da questa guerra, Xi Jinping seguirà più miti consigli.

Per questo si deve fermare Mosca. E per farlo bisogna puntare ad obiettivi specifici e raggiungibili. E uno di questi è la Crimea. “Con le armi giuste, possiamo isolare la Crimea, tagliare il cordone di terra che la collega alla terraferma russa. Dateci gli Atacms e i Taurus, come il generale Ben Hodges aveva già suggerito tempo fa”, prosegue assertiva Hopko. “A quel punto, da una posizione di forza, potremo pensare di aprire una trattativa. Non prima”.

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