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La cultura ci rende umani. Perché e come alimentarla

L’attenzione politica alla cultura deve tradursi, sostanzialmente, nel comprendere che nell’insieme delle professioni necessarie a sviluppare una trama di sviluppo sociale e territoriale, è necessario includere anche archeologi, artisti, esperti di pianificazione culturale, così da meglio convogliare gli interventi strutturali. Perché è la cultura che ci rende umani

Il tema della cultura nel nostro Paese è spesso un tema di natura prettamente politica. La cultura è uno dei temi più frequentemente richiamati durante le interviste istituzionali; il nostro Patrimonio Culturale è spesso posto al centro dello sviluppo del nostro Paese; la cultura nella sua forma più patinata abbonda di ibridazioni politico-istituzionali; gli interventi del nostro Paese in tema di cultura sono stati spesso posti al centro del dibattito politico, da governi e opposizioni che negli ultimi anni si sono avvicendati.

Sono chiaramente innumerevoli le ragioni che motivano tale interesse, e spaziano dalla più candida delle osservazioni che riconosce nel nostro patrimonio storico, artistico e culturale una delle pochissime ragioni per cui l’Italia è famosa nel mondo, alle più ambigue e sottili azioni che invece vedono nella gestione della cosa culturale un asset di stabilità sub-politica.

Sono però altrettante le ragioni per cui tale interesse non dovrebbe esserci, spesso vengono invece volutamente ignorate, e che invece meriterebbero una riflessione.

Per poterle affrontare con serietà, in una riflessione che rispetti i tempi di lettura di una rivista, è necessario assumersi il rischio di semplificare il più possibile la questione, cercando di portare in luce una visione d’insieme, riducendone però chiaramente i dettagli. Per quanto tale approccio esponga a critiche, sicuramente giustissime, esso permette di porre in evidenza alcuni elementi che altrimenti si scompongono nel vortice delle iperspecializzazioni.

Semplificando, ad esempio, è possibile iniziare a distinguere quell’eterea massa informe ed ecumenica che la cultura ha assunto negli ultimi anni in alcune delle sue componenti costitutive.

È possibile, ad esempio, identificare una prima importantissima distinzione che separa la componente ereditata della cultura, che è il nostro Patrimonio Culturale, dalle dimensioni sorgive della nostra cultura attuale, cui spesso ci si riferisce con l’espressione “produzione culturale”. È inoltre possibile distinguere tali produzioni da altre forme culturali ibride, quelle che un tempo venivano definite come “usi e costumi” e che spesso oggi vengono identificate con la locuzione di patrimonio immateriale o intangibile. È possibile distinguere il processo di creazione di cultura dal processo di diffusione della cultura. Così come è possibile distinguere la cultura dalla formazione.

Argomentando meglio, ognuna di queste distinzioni tenderebbe a perdere nitidezza: è nei fatti impossibile scindere la profonda interrelazione che lega il patrimonio dalla produzione culturale, così come è un artificio sofistico cercare di distinguere se una data espressione culturale di un determinato individuo sia riconducibile ai processi di educazione formale o alla coesistenza di tale individuo all’interno di uno specifico territorio.

Se però si riduce il livello di dettaglio, è senza dubbio possibile affermare che per quanto la realtà sia molto “sfumata”, è innegabile che tra il Colosseo e la scuola primaria ci siano delle differenze. Così come è innegabile che tale differenza esista anche tra un’azienda che pubblica graphic novel e un’istituzione deputata al restauro di oggetti d’arte.

Il processo di riduzione può quindi aiutare a comprendere i motivi per i quali l’unico modo per favorire realmente la cultura in Italia sia porre tale tema ai margini dell’intervento politico.

Si prenda ad esempio il nostro Patrimonio Culturale custodito dai Musei. I Musei sono organizzazioni, spesso pubbliche, talvolta statali, in pochissimi casi parzialmente autonome, che perseguono un’ampia serie di obiettivi che spaziano dalla conservazione del patrimonio custodito, fino all’incremento del numero dei visitatori e alla diffusione della conoscenza.

Il miglioramento delle condizioni che oggi caratterizzano tali istituzioni non è un elemento culturale, ma organizzativo. Ne è emblema il fatto che molti dei direttori degli istituti autonomi, di cui vale la pena sottolinearne il profilo prettamente culturale, indichino come prioritarie per lo sviluppo del nostro sistema museale scelte di natura organizzativa e contrattuale.

Non distanti sono i temi che riguardano il mondo bibliotecario che, non ancora pienamente coinvolto dalle trasformazioni che hanno invece riguardato altri settori della conservazione del patrimonio culturale, mostra ancora più evidenti le accezioni ideologiche che hanno rallentato lo sviluppo e la diffusione culturale in molte città del nostro Paese.

Favorire lo sviluppo delle biblioteche è, oggi, un tema che coinvolge tantissime dimensioni: lo sviluppo della domanda potenziale, la capacità di comunicazione, la creazione di processi di lavoro, l’identificazione di tipologie contrattuali dignitose, la creazione di soggetti in grado di istituire in modo efficace ed efficiente i propri servizi, la capacità di poter porre in essere prassi e procedure che consentano una migliore integrazione tra organizzazione pubblica e soggetti privati, la creazione di governance attente tanto al profilo qualitativo dei servizi che il sistema bibliotecario è tenuto a produrre quanto agli elementi di stabilità e continuità organizzativa.

Analoghe sono le tematiche che richiedono un intervento per favorire lo sviluppo della produzione culturale: produzione che è in larga parte affidata a professionisti (artisti, attori, musicisti), ad organizzazioni private, o a pochi soggetti di medie e grandi dimensioni che presentano una proprietà pubblica.

Anche per questa categoria i temi da porre al centro dell’attenzione hanno ben poco a che vedere con la “cultura”: stabilità occupazionale, congruenza tra gli strumenti contrattuali e la concreta dinamica del mercato del lavoro, incremento della sicurezza del sistema previdenziale, riduzione del cuneo fiscale, riduzione delle barriere all’ingresso, miglioramento delle dimensioni di cooperazione con i soggetti pubblici che perseguono finalità affini, distribuzione degli incentivi che favorisca produzioni per le quali al momento non è presente una domanda di mercato tale da giustificarne economicamente l’investimento, miglioramento delle condizioni economiche generali dei cittadini al fine di incrementare la disponibilità di spesa di questi ultimi per l’acquisto di prodotti o di servizi culturali, miglioramento dei trasporti per favorire l’afflusso di domanda turistica anche in luoghi più decentrati rispetto alle mete più tradizionali, incremento della possibilità di reperire investitori, privati e istituzionali, italiani e esteri.

Anche in questo caso, la cultura, è solo il risultato di un sistema economico, istituzionale e sociale che ne favorisce l’emersione.

Può parere dunque contro intuitivo affermare che per favorire la cultura, sia importante agire su tematiche non culturali, ma si tratta, in realtà, di una riflessione estremamente lineare, che trova moltissime corrispondenze, ad esempio, anche nella nostra vita quotidiana.

La produzione culturale è, infatti, un’attività che caratterizza la specie umana. Dalla grotta di Altamira in poi, la nostra specie ha sempre prodotto azioni volte a creare un valore simbolico e culturale, sia volontariamente, ma anche involontariamente. Si pensi, ad esempio, alla rilevanza culturale che l’archeologia attribuisce alle armi. Tale rilevanza è da un lato dettata dall’oggetto in sé, e dall’altro è dettata dall’insieme di conoscenza che può derivare dalla relazione di quel dato oggetto con il nucleo sociale in cui è stato prodotto. Chi ha prodotto quell’oggetto, tuttavia, non aveva intenzione di produrre un’opera culturale: produceva esclusivamente una freccia, una lancia, un coltello.

Da ciò deriva l’evidenza che la specie umana è intrinsecamente produttrice di cultura e di significati simbolici. Per favorirne l’emersione, tuttavia, è da un lato necessario fornire gli strumenti conoscitivi ed intellettivi attraverso i quali raffinare e stimolare produzioni culturali autentiche, e dall’altro favorire la creazione di un contesto che, a tali manifestazioni culturali, attribuisca il giusto valore.

Facciamo un altro esempio: per favorire il benessere delle persone è necessario creare condizioni che soddisfino alcuni elementi fondamentali. Interessante, in questo senso, un recente articolo pubblicato da Bloomberg, nel quale, affrontando il tema della soddisfazione personale in ambito lavorativo ed extra-lavorativo, Sarah Green Carmichael avvia la riflessione affermando: “Non hai bisogno di più resilienza. Hai bisogno di amici. E soldi.”, dando all’articolo un sottotitolo piuttosto schietto: i libri di business che enfatizzano quanto sia importante sviluppare la forza mentale per fronteggiare le avversità trascurano ciò che conta realmente”.

In altri termini, per puntare alla forza mentale, e al conseguente benessere, è necessario creare le condizioni che la determinano. Non basta leggere un libro sulla resilienza per risolvere dei problemi, così come non basta leggere un libro sulla leadership per divenire leader. Per essere resilienti è necessario avere una rete di relazioni sociali, una condizione economica che consenta di non doversi preoccupare della sopravvivenza e che permetta di poter condurre una vita attiva. Questi elementi permettono quindi di poter reagire in modo più proattivo ad un evento avverso, come la perdita di un impiego. Con la cultura funziona più o meno allo stesso modo: per sviluppare la cultura non è necessario concentrare l’attenzione politica su di essa, serve creare le condizioni strutturali che permettano alle persone e alle organizzazioni di poter avere tempo, denaro, e attenzione sufficienti per poter dedicare il tempo alle proprie passioni.

Serve creare le condizioni per favorire fenomeni di aggregazione sociale attraverso la cultura. Serve creare le condizioni per fare in modo che le persone possano decidere di investire 90 euro per due biglietti per un concerto. Serve creare le condizioni per permettere agli artisti di poter produrre le proprie opere senza dover barcamenarsi tra lavoretti part-time e bandi di artisti in residenza.

L’attenzione politica alla cultura deve quindi tradursi, sostanzialmente, nel comprendere che nell’insieme delle professioni necessarie a sviluppare una trama di sviluppo sociale e territoriale, sia necessario includere anche archeologi, artisti, esperti di pianificazione culturale, così da meglio convogliare gli interventi strutturali. Perché è la cultura che ci rende umani.

Se vogliamo dunque salvare la cultura, cerchiamo di capire in che modo il sistema sociale ed economico che abbiamo costruito abbia reso così poco attraenti attività come “immaginare”, “disegnare”, “recitare”, “raccontare e ascoltare storie”. Azioni che, a tutti noi, vengono spontanee come respirare.

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