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Piano Mattei, su cosa dovrà lavorare adesso il governo

La dotazione iniziale da 5,5 miliardi dimostra che i primi fondi ci sono; la presenza di 25 capi di Stato a Roma è la conferma del riscontro positivo dai territori; il plauso dei vertici europei, non scontato, è la dimostrazione che l’idea è quella giusta. Ora si lavorerà per i “decreti attuativi” del Piano Mattei

Il vertice Italia-Africa è stato il primo appuntamento internazionale che si è tenuto in Italia dall’avvio della Presidenza del G7, a dimostrazione di un vivo e rinnovato interesse verso il continente africano. Il partenariato con quelle 50 nazioni non può essere un elemento secondario nelle agende dei Paesi europei e il plauso di Ursula von der Leyen all’iniziativa di Giorgia Meloni lo dimostra ampiamente. Adesso va dato fiato alla fase due, ovvero alla distensione materiale di iniziative, progetti e interlocuzioni.

In primis spicca il dato formale: per la prima volta la Conferenza Italia-Africa, che si è svolta fino a questo momento a livello ministeriale, è stata elevata a rango di Vertice di Capi di Stato e di Governo. Perché dunque il vertice Italia-Africa può diventare pietra miliare e, perché no, un modello? Perché è parte di uno schema di lavoro che, solo pochi anni fa, sarebbe stato impensabile, in quanto la traccia seguita dalla politica si era limitata alla gestione dell’emergenza, come i flussi migratori derivanti da singole aree di crisi, o ad un’azione cosiddetta caritatevole, seppur utile nel breve periodo.

Anche l’Europa sta progressivamente maturando una consapevolezza: è stato un grave errore aver lasciato campo libero a interlocutori come Cina e Russia, che sono penetrati in maniera chirurgica in varie aree del continente (quelle stesse che erano assenti ieri a Roma), riuscendo perfino a condizionare golpe e cambi di potere, come dimostrano le ripetute azioni della Wagner.

Ma l’Italia quando ha messo l’accento sulla strategicità del cosiddetto fronte sud, ovvero sul confine meridionale, l’ha fatto nella certezza che si tratta essenzialmente di programmare anche un pezzo del proprio futuro. Europa e Africa sono chiamate a scrivere pagine nuove di una storia anch’essa completamente nuova. E farlo durante la Presidenza italiana del G7 e nel mentre si stanno consumando due tragici teatri di guerra è diventato quasi un obbligo morale.

Perché le ombre delle guerre impongono un’accelerazione al dossier Africa? Perché quelle azioni cruente, una volta di più, raccontano che le dinamiche vanno previste e non subite, affrontate in un’ottica di strategia e non di eterna emergenza. Nessuno ha dimenticato cosa è accaduto, solo per restare all’ultimo decennio, nel continente africano: la mancata stabilizzazione istituzionale in Libia dopo l’uscita di scena di Gheddafi; il disimpegno francese dal Sahel che ha favorito la penetrazione di terzi; la corsa sfrenata alle terre rare connessa alle scelte energetiche globali; l’utilizzo della clava ideologica per orientare rivoluzioni e ulteriori tensioni, con popolazioni vessate. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

L’invasività straniera in Africa tocca vari ambiti, come la geopolitica e la sicurezza: gli intenti predatori di soggetti esterni hanno come unico scopo le risorse presenti in loco, lasciando un enorme dazio da far pagare alle popolazioni locali, sommato all’assurdo indebitamento di nazioni che avrebbero tutto per camminare con le proprie gambe. E invece sono bloccate da altre logiche che non hanno fino ad oggi permesso di liberare energie e di avere il minimo sostentamento per le relative popolazioni.

Per cui, da un lato la dotazione iniziale da 5,5 miliardi dimostra che i primi fondi ci sono; la presenza di 25 capi di stato ieri a Roma è la conferma del riscontro positivo dai territori; il plauso dei vertici europei, non scontato, è la dimostrazione che l’idea è quella giusta.

Ora si lavorerà per i “decreti attuativi” del Piano Mattei.


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