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L’epifania delle elezioni e delle guerre. L’analisi di D’Anna

Medio Oriente e Ucraina in fiamme, elezioni cruciali negli Stati Uniti e in Russia: un anno di guerre ed elezioni ad alta tensione che rischiano di incidere sugli equilibri globali. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Conto alla rovescia di un anno di elezioni e guerre. Il countdown è iniziato con la sfida mortale per la democrazia americana tra il più anziano presidente eletto alla Casa Bianca, Joe Biden, sovrastato dai tentativi d’assalto di Vladimir Putin in Ucraina, dal terrorismo islamico in Israele e dalla Cina nell’economia mondiale, e un ex presidente, Donald Trump, definito in decine di capi di imputazione nei quattro processi a suo carico come istigatore di un tentativo di colpo di stato, pericolo per la sicurezza nazionale, spergiuro, corruttore, truffatore e violentatore.

In attesa della decisiva valutazione della Corte suprema degli Stati Uniti sulla pur evidente e comprovata ineleggibilità di Trump, Washington fronteggia con decisione i due principali fronti bellici del Medio Oriente e dell’invasione dell’Ucraina, che rappresentano le minacce più gravi per l’intero sistema delle democrazie occidentali.

Più che Gaza, preoccupa la tenuta della frontiera fra Israele e Libano, mai come in questi momenti in bilico su un ennesimo conflitto. All’uccisione a Beirut da parte dei servizi israeliani di Saleh al-Arouri, numero due di Hamas e anello di collegamento con Hezbollah, Iran e Turchia, ma soprattutto corresponsabile dei disumani massacri del 7 ottobre, ha fatto seguito la riproposizione della sequenza di vendette promesse e il lancio di missili contro Israele da parte degli Hezbollah filo iraniani.

A frenare i miliziani pronti a scatenare l’attacco è per il momento paradossalmente Teheran, sconvolta dai circa cento morti delle esplosioni alla commemorazione di Qassem Soleimani, il generale considerato la mente degli attacchi terroristici iraniani nel mondo. Un attentato terroristico contro un defunto leader del terrore, anch’egli vittima quattro anni addietro di un attentato.

Un fiume di sangue e orrore che potrebbe portare la firma dell’Isis, il sedicente stato islamico che in nome della faida storica fra sciiti e salafiti considera debole e corrotto il regime degli Ayatollah. Una sorta di guerra incivile fra terroristi, dietro la quale si scorge ‘l’incoraggiamento’ dell’intelligence occidentale.

Resta da vedere se l’attacco missilistico contro Israele sia una risposta preliminare all’uccisione di Arouri o una delle ricorrenti ‘toccate e fuga’ degli Hezbollah contro le forze di Israele che, dopo aver sradicato Hamas dalla striscia di Gaza, attendono soltanto l’occasione per disinnescare definitivamente la minaccia rappresentata dalla temibile organizzazione armata libanese che ha costituito un vero e proprio esercito con un addestramento sofisticato e un arsenale di circa 150.000 missili.

Per sventare l’eventuale effetto domino mediorientale, il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha avviato il quarto tour di crisi nella regione dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, tre mesi fa, con tappe a Istanbul, Cisgiordania e Tel Aviv.

Dopo aver quasi raggiunto l’obiettivo di cancellare Hamas da Gaza, secondo Washington il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, rischia di compromettere i risultati dell’offensiva proponendo una serie di proposte politiche inaccettabili sulla governance futura della striscia, definita come inabitabile dalle Nazioni Unite.

Fra le varie proposte del governo Netanyahu la principale prevede che la ricostruzione di Kyiv venga gestita da una task force multinazionale che comprenda Stati Uniti, Europa e i paesi arabi moderati; il governo civile sarebbe demandato a un non meglio specificato organismo politico palestinese, mentre Israele ed Egitto congiuntamente si occuperebbero della sicurezza all’interno della Striscia.

Il vero problema è che, non solo a livello internazionale ma anche all’interno del suo paese, l’attuale premier israeliano non appare più credibile e non garantisce il rispetto degli eventuali accordi.

Anche se non viene ufficialmente ammesso, per l’amministrazione americana la soluzione ideale dell’impasse del dopo Gaza sarebbe la sostituzione di Netanyahu con il generale Benny Gantz, ex capo di stato maggiore dell’esercito e leader del partito progressista moderato israeliano. Ma è una soluzione che, in un groviglio cruciale di emergenze e di dolore, deve passare attraverso il complesso sistema politico parlamentare ed elettorale di Israele.

Sul fronte della guerra scatenata dalla Russia di Putin contro l’Ucraina, secondo il quotidiano britannico Guardian per il governo inglese le perdite dell’armata russa stanno toccando la spaventosa cifra di 500.000 caduti, perché i soldati vengono mandati allo sbaraglio per conseguire minimi avanzamenti fra le trincee da sbandierare come successi nella campagna elettorale per le presidenziali di marzo.

La stampa americana invece sottolinea le difficoltà crescenti di approvvigionamento di armamenti per Kyiv. Secondo il New York Times, presto gli Stati Uniti potrebbero non essere più in grado di mantenere la fornitura dei sistemi di difesa aerea Patriot essenziali per contrastare i massicci bombardamenti missilistici e aerei russi. Solo nell’ultimo mese sono stati infatti abbattuti tre modernissimi Mig di Mosca.

Per tamponare la situazione, Kyiv conta sull’anticipo dell’invio dei super caccia F16 in grado di assicurare alle forze ucraine la superiorità aerea. Il trasferimento da parte della Danimarca di 19 aerei da combattimento F-16 di fabbricazione americana all’Ucraina avverrà nel secondo trimestre del 2024, una volta che i piloti ucraini avranno completato l’addestramento, ha affermato il ministero della Difesa di Copenaghen.

Mentre sulla piazza rossa di Mosca si sussegue la fila delle madri e delle mogli dei soldati al fronte ucraino che depongono fiori in segno di protesta per la mobilitazione forzata e continuata dei loro familiari, involontariamente i media moscoviti hanno offerto un’immagine emblematica dell’atmosfera del Natale Ortodosso in Russia: l’espressione triste e la totale solitudine di Putin alla funzione religiosa che si è tenuta a mezzanotte nella cattedrale dell’Annunciazione all’interno del Cremlino. “Se sei triste quando sei da solo, probabilmente sei in cattiva compagnia”, sosteneva il filosofo e drammaturgo francese Jean Paul Sartre.



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