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Oltre le europee, Schlein scricchiola. La versione di Pombeni

Il leader pentastellato porta avanti una politica spregiudicata e cerca di dettare la linea anche in casa del Pd. A Schlein comunque non converrebbe candidarsi. Se dalle europee i dem otterranno un risultato al di sotto delle aspettative, l’attuale segreteria è destinata a durare ben poco

Gli appelli non sono mai disinteressati. A maggior ragione a ridosso di una campagna elettorale che avrà un valore strategico fondamentale in termini politici. Tanto per la maggioranza, quanto per la minoranza. Ed ecco perché il leader pentastellato Giuseppe Conte non solo si è sfilato dalla competizione per le europee, ma ha rivolto un appello alla segretaria dem, Elly Schlein, affinché neanche lei partecipi direttamente alla competizione. “Conte fa la sua politica spregiudicata, non si vuole contare e politicamente ricatta il Pd”. L’analisi è di Paolo Pombeni, politologo, docente di Unibo e nuovo direttore della rivista Il Mulino.

Conviene a Conte “ricattare” politicamente la segretaria del Pd?

È il suo modo di fare politica. La questione della candidatura di Schlein è sicuramente complessa perché rischierebbe, andando contro l’indicazione lanciata da Conte, di compromettere i rapporti con i pentastellati anche sul fronte interno e sui territori.

Quindi anche per i dem sarebbe rischioso se Schlein si candidasse?

Certo, conviene in ogni caso che non lo faccia. Sarebbe un’operazione senza senso. Anche e soprattutto per i riverberi che una sua eventuale candidatura potrebbe avere internamente al partito, mettendo in discussione dal profondo la sua leadeship.

Nel senso che sarebbe una candidatura divisiva?

Schlein è riuscita a diventare segretaria grazie a voti esterni rispetto al Pd. Ed erano tutti voti contro il Pd in qualche modo. Per cui una sua eventuale candidatura potrebbe raccogliere eventualmente una parte del consenso interno al suo partito e sarebbe estremamente divisiva.

In questo senso come la legge l’uscita del commissario Paolo Gentiloni che ha dichiarato di non volersi candidare alle europee?

Gentiloni è una persona di grande spessore politico ed è consapevole che una sua candidatura e un’eventuale elezione non gli porterebbe beneficio. Avrebbe solo da perderci e nulla da guadagnarci.

Vale la stessa logica anche per il centrodestra nell’ipotesi di una candidatura del premier Giorgia Meloni?

In quel caso vale la logica esattamente opposta. È difficile immaginare che Meloni non possa fare il pieno di voti alle europee. Anzi, sono certo che le consultazioni di primavera le serviranno per consolidare ulteriormente la sua leadership sia a livello nazionale che a livello europeo. Non solo. Sul fronte interno rafforzerà il ruolo di Fratelli d’Italia in seno alla coalizione. E, probabilmente, taciterà alcune smanie dei suoi alleati. Fermo rimanendo che quella attualmente al governo, per tutti i partner della coalizione, è una compagine obbligata.

Tornando al centrosinistra e segnatamente al Pd. Come legge la spaccatura sul voto legato all’invio di armi all’Ucraina?

Il voto alla Camera è un’ulteriore dimostrazione della totale debolezza e di capacità di elaborazione di un pensiero politico dell’attuale segretaria Schlein che, al contrario, sta caratterizzando il suo mandato inseguendo le pulsioni momentanee ma senza una linea chiara.

Ritiene possano esserci rotture, in particolare che partano dall’ala più riformista?

In questo momento mi sentirei di escluderlo, ma è evidente che se dalle europee il Pd otterrà un risultato al di sotto delle aspettative, l’attuale segreteria è destinata a durare ben poco. L’ala riformista non può certo rimanere sempre minoritaria. E, peraltro, alcuni esponenti potrebbero essere interessati alle “campane” centriste…



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