Dopo la storica sentenza di Hong Kong che ha scritto la parola fine su tre anni di debiti e scandali, ora per i liquidatori arriva il difficile. Il grosso dei beni di Evergrande è nella Cina continentale, dove ci sono leggi e consuetudini diverse rispetto a quelle dell’ex colonia inglese. E il governo è in agguato
Fosse stato così facile, il discorso sarebbe chiuso. O quasi. Liquidare Evergrande e dare giustizia ai creditori rimasti con un pugno di mosche in mano, non sarà un pranzo di gala, semmai un cammino pieno zeppo di trappole. All’indomani della decisione dell’Alta Corte di Hong Kong che ha ordinato la messa in liquidazione del gruppo, andato in default sul debito offshore, sorgono i primi dubbi sulla tempistica dei rimborsi, sempre che di rimborsi si possa parlare. La sentenza ha messo in moto una macchina che impegnerà per anni periti e avvocati, oltre a innescare una bomba nel vacillante mercato immobiliare cinese e, di conseguenza, nel settore finanziario della seconda economia del mondo.
Ci sono almeno tre motivi che renderanno tutto più difficile. Primo, la decisione è stata presa in sette udienze sulla base di un’istanza presentata da un creditore, Top Shine Global. Ora, i liquidatori hanno il compito di recuperare quanto più valore possibile dalla vendita dei beni e in tal proposito la corte di Hong Kong ha nominato la società di consulenza Alvarez & Marsal come liquidatore ufficiale. Il primo compito sarà quello di parlare con il management di Evergrande per sapere come intende onorare i propri debiti. La cassa, come noto, è inesistente e per questo l’unica strada è completare i progetti immobiliari rimasti incompiuti e provare a venderli. Ma non è detto che il mercato risponda a dovere e se così fosse, tale strada sarebbe impercorribile.
Secondo problema, la liquidazione di un gigante come Evergrande, che potrebbe richiedere anni, passa per un sistema giudiziario continentale, su cui il partito comunista ha molto più grip di quanto non lo abbia sulla giurisdizione dell’ex colonia britannica. La maggior parte dei beni di Evergrande, infatti, si trovano nella Cina continentale, che ha un sistema giudiziario diverso rispetto a quello di Hong Kong e molto più esposto ai diktat di Pechino. Tanto basta a rendere poco chiaro secondo quali procedure verrà eseguita l’ordinanza di due giorni fa.
Terzo problema, le proprietà di Evergrande a Hong Kong e all’estero sono una minima parte di quelle totali e assolutamente non sufficienti per ripagare anche solo i debiti con i creditori internazionali. Quindi, anche volendo monetizzare quelle extra Cina, i conti non tornerebbero. Certo, nel 2021 Cina e Hong Kong hanno firmato un mutuo accordo che di fatto garantirebbe ai liquidatori incaricati dalla città semiautonoma di essere riconosciuti dai tribunali del Paese e quindi di operare anche sulle proprietà in territorio cinese.
La questione però è discussa e finora in casi simili (seppur di dimensioni ridotte) non più del 20 per cento dei tribunali cinesi ha riconosciuto l’autorità delle sentenze di Hong Kong. Sulla questione poi conterà in modo decisivo la volontà del governo cinese, che finora sembra aver preferito salvaguardare il completamento dei progetti, per quanto possibile. Inoltre in caso di effettiva liquidazione potrebbe ritenere di dover prima garantire gli interessi dei creditori interni rispetto a quelli esteri.