Non occorrono ricette particolarmente complesse o innovative per far sì che il forum sia un successo: sarà possibile evidenziare il ruolo internazionale del nostro Paese e favorire meccanismi di cooperazione e apertura al resto del mondo. Il commento di Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico a Palazzo Chigi e ambasciatore negli Stati Uniti
È ufficialmente iniziata dal 1° gennaio 2024 per la durata di un anno la presidenza italiana di turno del G7.
L’evento principale sarà il summit dei leader che si terrà a giugno nella masseria di Borgo Egnazia, in Puglia, scelta con un personale sentimento di orgoglio pugliese, per gli aspetti logistici e di sicurezza e perché simbolicamente al centro del Mediterraneo a sua volta divenuto centro del mondo in questo periodo epocale di conflitti e tensioni in Europa, Africa e Grande Medio Oriente.
Nel corso dell’anno si svolgeranno riunioni tematiche e ben 21 vertici ministeriali: un programma molto fitto, segno dell’importanza che Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, vuole dare a questa tappa del suo periodo a Palazzo Chigi. Avendo avuto l’esperienza di occuparmi da vicino dei summit G7/G8 per alcune edizioni come sherpa del presidente del Consiglio in carica oltre che in altre vesti in numerose altre edizioni, mi permetto di rivolgere alcuni consigli (non richiesti) alla presidente del Consiglio in vista di questo esercizio che rappresenterà per l’Italia un’importante vetrina internazionale.
Nel corso dei decenni le forme e il ruolo del G7 sono cambiati in maniera significativa: il primo summit di Rambouillet del 1975 (che in realtà fu un G6 in quanto mancava il Canada) era concentrato su questioni di carattere economico, mentre oggi le presidenze del G7 dopo essere passato per un G8 con la Russia poi non più invitata, si occupano di moltissime questioni legati agli affari internazionali e hanno assunto un’impronta decisamente geopolitica.
Le riunioni di carattere tecnico si sono moltiplicate, così come i consessi presieduti dai ministri competenti (tra cui i principali restano comunque quelli delle Economie e Finanze e degli Esteri): si potrebbe dunque dire che l’agenda si è allargata in maniera quasi eccessiva, con il rischio di sovrapposizioni con altri formati (come il G20) o altre organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite. In realtà, il vero valore aggiunto fornito dal G7 è quanto accade al summit dei leader: non tanto la family photo o quello che viene affermato nel comunicato finale (un testo solitamente lunghissimo privo di carattere vincolante), quanto le conversazioni informali che avvengono dietro le quinte, importanti per allinearsi su questioni fondamentali e per cementare un rapporto di collaborazione e amicizia. Sono certo che Meloni, alla sua prima esperienza nella veste di “padrone di casa”, non farà fatica a creare un clima positivo, improntato alla condivisione di valori comuni; ma sarà importante per lei ricordarsi che, per massimizzare il risultato, sarà necessario innanzitutto tornare “back to basics” e cercare un dialogo aperto e franco con i propri omologhi prima di mettere in piedi iniziative complesse o macchinose.
Un altro elemento di cui tenere conto è legato all’evoluzione del G7 all’interno di un mondo che è radicalmente cambiato. Se negli anni Settanta il forum comprendeva le economie più grandi del pianeta, oggi non è più così e i Paesi membri sono accomunati tra loro più dalla condivisione dei principi della democrazia liberale che dal primato legato alla ricchezza. Questo ha portato negli ultimi anni ad accentuare la divisione tra i Paesi del G7 e quelli del resto del mondo, con il rischio di alimentare la conflittualità tra Occidente e il cosiddetto “Global South” che trova sempre più nella Cina un punto di riferimento. La presidente Meloni dovrà dunque fare attenzione al rischio che il G7 si chiuda in sé stesso invece di aprirsi maggiormente al resto del mondo: a questo proposito sarà cruciale investire sull’azione di outreach, che esiste già da diversi anni e che consiste nel coinvolgimento di Paesi in via di sviluppo. Un G7 che faccia da “ponte” con altre realtà, a partire dal G20, potrebbe aiutare a creare un quadro internazionale maggiormente improntato alla cooperazione che alla reciproca fiducia.
Da questo “consiglio” consegue il terzo. L’Italia ha già chiarito che tra i punti caratterizzanti dell’agenda ci sarà un occhio di riguardo per l’Africa, un punto funzionale alla diffusione e all’implementazione del cosiddetto Piano Mattei, i cui dettagli dovrebbero essere resi noti nel corso della Conferenza Italia-Africa in programma a fine mese. Tuttavia, sappiamo bene come, soprattutto tra i diversi Paesi europei, coesistano interessi economici e strategici divergenti nei confronti dell’Africa (pensiamo per esempio alla Francia). Ecco perché la presidente del Consiglio dovrebbe puntare più su un Piano per l’Africa sul quale i partecipanti siano chiamati a collaborare con misure a livello internazionale e nazionale lasciando poi ai singoli stati di elaborare bilateralmente specifiche politiche di sostegno. Questo consentirebbe di accentuare la dimensione cooperativa del piano e di trasformarlo in una piattaforma di coordinamento per gli investimenti economici nel continente volti a rafforzare la cooperazione con l’Occidente e a contrastare l’influenza di altre potenze esterne come la Cina. Dovrebbe essere il messaggio di sintesi di questo G7 pugliese che, come ogni G7 nelle varie declinazioni della emergenza del momento, lascia come legacy al di là del rituale comunicato finale.
Insomma, non occorrono ricette particolarmente complesse o innovative per far sì che il G7 italiano sia un successo: partendo dalla lezione principale di stampo anglosassone – less is more – sarà possibile evidenziare il ruolo internazionale del nostro Paese e favorire meccanismi di cooperazione e apertura al resto del mondo. Che è quello di cui l’Italia ha bisogno in funzione dei propri obiettivi di cooperazione internazionale, volti a farla tornare un punto di riferimento nella regione euro-mediterranea. In questa occasione il rapporto personale tra i sette protagonisti, al di fuori delle occasioni pubbliche ufficiali, la affidabilità e la credibilità che si rinsalda da un vertice all’altro, saranno come sempre gli ingredienti migliori. Una rappresentazione plastica di queste componenti possiamo trovarla nel vertice 2001 di Genova funestato dai noti tragici fatti ma dove Silvio Berlusconi agì come broker di pace tra George W. Bush e Vladimir Putin alle prime esperienze internazionali.