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Gas, la primavera in anticipo: prezzi in calo e Putin smentito (ancora)

Né l’ondata di freddo invernale né l’allontanamento dalle forniture russe hanno impattato l’ottimismo crescente degli operatori sul mercato europeo. Contano le riserve ancora ben colme (anche grazie all’Ucraina), il ridimensionamento della domanda, il meteo e l’aumento della capacità prevista. All’orizzonte, la transizione – e il ruolo del metano come ponte

Giovedì 11 gennaio il prezzo del gas naturale (secondo l’indice di riferimento olandese Ttf) ha toccato i 30 euro/megawattora. Come già aveva fatto in piena estate, con la differenza che il continente europeo è stretto nella morsa di un’ondata di freddo e ha abbandonato la gran parte delle forniture russe in seguito al ricatto del gas di Vladimir Putin, che fino all’anno scorso minacciava un inverno “lungo e gelido” in Ue. avvertimento caduto nuovamente nel vuoto: gli operatori di mercato non sono affatto nervosi, e anzi molti hanno già dichiarato chiusa la stagione invernale del riscaldamento e guardano al 2025.

La situazione è di una calma quasi surreale se si pensa che negli ultimi due anni il prezzo del gas ha sfondato i 300 €/MWh e si è mantenuto ben al di sopra della media del decennio precedente, circa 20 €/MWh. Oggi l’indice Ttf sembra segnare un ritorno alla normalità pre-invasione dell’Ucraina, scatenata dalla Russia dopo un anno di rialzi (a seguito di investimenti inariditi dalla spinta della transizione verde e della crescita della domanda asiatica, tra le altre cose).

Cosa è cambiato rispetto allo scorso inverno, quando il prezzo si attestava comunque intorno ai 70 €/MWh, alimentando l’inflazione europea e prospettando una crisi energetica duratura? Per iniziare, ha pagato l’eccesso di cautela, nella forma degli acquisti preventivi durante la stagione estiva: al momento gli stoccaggi europei sono pieni all’83%, anche grazie al ricorso a quelli dell’Ucraina, che dispone di “serbatoi” anche più grandi di quelli italiani e tedeschi.

Questa quantità di metano è ampiamente sufficiente ad arrivare ai mesi caldi, insomma, e che si riflette sulle considerazioni del mercato: si parte già avvantaggiati per riempire le riserve in vista del prossimo inverno. A meno di sorprese, gli analisti si aspettano di arrivare a marzo con le riserve piene al 50-55%; negli anni precedenti si arrivava con una media del 41%.

In seconda battuta c’è da considerare la netta riduzione dei consumi di gas in Ue, che nel 2023 sono stati più bassi del 20% rispetto al periodo pre-guerra. Questo va a sua volta addotto sia alla riduzione volontaria di domanda, decisa dagli Stati Ue nel 2022 per togliere pressione sia al prezzo, sia alle industrie energivore, sia al rallentamento generale dell’economia e della produzione industriale. Ma anche a due stagioni invernali particolarmente calde (del resto, il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato).

Terzo, è sempre più solida la prospettiva di poter fare affidamento su fornitori che non siano la Russia – da cui l’Ue, con le solite eccezioni, punta a sganciarsi completamente nel 2025. La differenza l’ha fatta l’attivismo dei Paesi europei (Italia in testa) nel diversificare le proprie forniture, anche e soprattutto grazie alle importazioni di gas naturale liquefatto (gnl) – più 5% rispetto al livello già record del 2022 e una prominenza del fornitore statunitense sempre più accentuata.

Questa svolta è stata resa possibile anche dalla messa in funzione di una serie di rigassificatori sparsi per il continente europeo, e la sicurezza che questo genera ha consentito al prezzo di andare persino sotto alle aspettative degli analisti (40 €/MWh senza il gas russo). E in prospettiva, come rileva Bloomberg, c’è un drastico aumento della capacità di produzione del gas naturale grazie a investimenti miliardari nel settore – un’inversione di tendenza rispetto al periodo pre-invasione.

Nella corsa verso la transizione, Paesi e aziende vedono il combustibile fossile meno “sporco” in termini di emissioni come ponte per accelerare in maniera (relativamente) sostenibile l’abbandono di carbone e petrolio e l’adozione di rinnovabili e nucleare. Alla Cop28 di Dubai si parlava del gas come di un combustibile di transizione, e la tassonomia europea riconosce il settore come investimento “verde”, anche nella prospettiva di creare una rete dell’idrogeno. Se tutto va come deve andare, stando ai dati della testata statunitense, la capacità di gnl dovrebbe aumentare del 70% da qui al 2028.

Ci sono dei però, come evidenzia l’analista di Ispi Matteo Villa. La prima sfida è riuscire a sganciarsi completamente dalle forniture russe, calate da oltre 150 miliardi a circa 50 miliardi di metri cubi. Il tema è farlo senza provocare scossoni di prezzo che andrebbero a colpire gli acquirenti europei e ingrassare le entrate del Cremlino. Questo va fatto anche qualora le temperature invernali rientrassero nella norma, spiega l’esperto, e continuando ad attutire l’impatto sul sistema industriale europeo alle prese con il rallentamento dell’economia.

Per gli amanti della schadenfreude, Villa mette in rilievo un dato: nonostante sia piena di gas invenduto, l’infrastruttura è talmente carente che da giorni manca il riscaldamento a 150.000 cittadini a sud della gelida Mosca.



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