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Non c’è più la neve di una volta. Ecco perché va sostenuto l’ecoturismo

Domani si festeggia la giornata mondiale della neve, istituita affinché le nuove generazioni crescano avendo cura dell’ambiente. Ma la situazione dei nostri ghiacciai non fa ben sperare. Un report di Legambiente stima che tra quattordici anni, ad esempio a Cortina, non si possa più sciare per via dell’esiguità delle precipitazioni nevose

Le previsioni per questo fine settimana dicono che tornerà la neve, anche a quote basse, sulle Alpi e sugli Appennini. Complice l’arrivo di aria fredda dalla Russia e l’abbassamento delle temperature, fino a 7-8°C rispetto alle medie climatiche di questo periodo. Potremmo così festeggiare al meglio la Giornata Mondiale della Neve proprio domenica 21 gennaio.

E potranno tirare un sospiro di sollievo gli operatori turistici che per l’occasione sperano di avere tutti gli impianti a pieno carico,  con tanti sciatori e amanti della neve al seguito. Sì, perché finora di neve se n’è vista poca sulle nostre montagne e non sono stati solo gli operatori a soffrirne, ma anche l’habitat e la biodiversità.

Il World Snow Day è stato istituito dalla Federazione internazionale sci per ricordare come “le nuove generazioni debbano crescere avendo cura dell’ambiente, in modo che anche loro e i loro figli possano giocare sulla neve in futuro”.

D’altronde, che i ghiacciai si stiano drammaticamente ritirando è un  fenomeno che non riguarda solo le nostre Alpi, ma le alpi di tutto il Pianeta. Colpa dei cambiamenti climatici e delle scarse precipitazioni nevose. Dal 2000 al 2019, i ghiacciai di tutto il mondo hanno perso in  media 267 miliardi di tonnellate di ghiaccio l’anno. Tra i ghiacciai che si sciolgono più velocemente, oltre a  quelli dell’Alaska e dell’Islanda, ci sono proprio quelli delle nostre Alpi.

I ghiacciai europei hanno perso un volume di circa 880 km cubi dal 1997 al 2022. Le Alpi sono state le più colpite, con una riduzione media del loro spessore di 34 metri.  Il Ghiacciaio dell’Adamello, il più esteso ghiacciaio italiano, dal 2015 ad oggi ha perso 50 ettari di superficie, pari a 70 campi da calcio. Solo nel 2022, l’annus horribilis, per le scarse nevicate invernali e le temperature estive anomale, i ghiacciai alpini hanno perso il 6% del volume.

In Italia abbiamo oltre 5 mila chilometri di piste da sci, distribuiti tra le Alpi e gli Appennini, con oltre 280 comprensori sciistici e 1.800 impianti di risalita, che vivono soprattutto grazie all’innevamento artificiale, una pratica non più sostenibile che comporta ingenti consumi d’acqua, d’energia e di suolo di grande pregio naturalistico. Secondo uno studio di Legambiente, il nostro è tra i Paesi alpini più dipendente dalla neve artificiale con il 90% di piste innevate artificialmente, seguita dall’Austria (70%), dalla Svizzera (50%) e dalla Francia (39%).

Lo studio ha mappato per la prima volta i 142 bacini idrici utilizzati principalmente per l’innevamento artificiale: 59 in Alto Adige, 17 in Lombardia, 16 in Piemonte, 4 in Abruzzo. Sempre la stessa ricerca ha censito ben 249 impianti dismessi, 138 quelli temporaneamente chiusi e 181 quelli sottoposti ad “accanimento terapeutico”, che sopravvivono con forti iniezioni di denaro pubblico.

Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, a Cortina tra 14 anni sciare potrebbe non essere più possibile. “La neve bagnata, le temperature elevate e la carenza energetica potrebbero compromettere le stagioni sulle piste già dal 2036”. E anche questa stagione si sta rivelando avara di neve, Secondo la Fondazione Cima a metà dicembre, nonostante un inizio di novembre con buone precipitazioni nevose, si è rilevato un deficit di ben il 44%.

I primi giorni di gennaio le località sciistiche hanno avuto una boccata d’ossigeno, è il caso di dirlo,  grazie alle perturbazioni di inizio anno. Per il resto della stagione, secondo il Centro Europeo Meteo, ci aspetta un clima mite, fino a +3°C al di sopra della media stagionale, in quasi tutta l’Europa. In linea con l’anno appena trascorso che è stato l’anno più caldo che abbiamo avuto sulla Terra nell’ultimo secolo e mezzo.

A fronte di questa situazione e proprio in occasione di questa Giornata, Legambiente “torna a chiedere stanziamenti economici più consistenti per il turismo sostenibile montano troppo spesso sottovalutato e sottostimato”. Ad oggi, ricorda l’associazione ambientalista, il Ministero del Turismo ha stanziato 148 milioni di euro destinati alle società proprietarie degli impianti di risalita per ammodernamento, sicurezza e dismissioni contro i 4 milioni di euro messi a disposizione per la promozione dell’ecoturismo. “Una sproporzione inaudita tra i due settori. Serve un cambio di passo e una decisa volontà politica che punti e investa davvero sul turismo sostenibile a partire da quello montano”.

Anche perché esempi di turismo montano sostenibile esistono e possono essere riproposti ad altri territori. Lo dimostra la top ten delle dieci best practices  che arrivano dalle Alpi, incluse quelle svizzere e austriache, e dalla dorsale appenninica che hanno realizzato “un nuovo modello di abitare e vivere la montagna nell’era  dei cambiamenti climatici e dove il filo conduttore è la capacità di innovare l’offerta turistica, diversificandone le attività, in armonia con la valorizzazione dell’ambiente naturale, delle professionalità e del patrimonio storico e architettonico di quei luoghi”. Esempi che fanno del turismo sostenibile “una leva preziosa per l’offerta turistica montana e per le comunità locali”, ma anche “una risposta concreta alla crisi climatica e alla monocultura dello sci di pista”.

In provincia di Cuneo il modello Valle Maira “regina del turismo slow in piena sintonia con la natura” propone sci escursionistico, sci alpinismo e di fondo, e ciaspolate, per passare al Comune di Balme, in provincia di Torino, che, dopo aver vietato la pratica dell’eliski, partecipa a progetti “oltre la neve” rivolti alle località che dovranno reinventarsi per la carenza di precipitazioni nevose.

E ancora Naturavalp, associazione valdostana promotrice di un turismo responsabile e sostenibile con la partecipazione di agricoltori, allevatori, artigiani e operatori turistici.

La Dolomiti Paganella Future Lab è un  progetto pensato “per ragionare sui cambiamenti che stiamo vivendo” e per rendere le comunità locali più resilienti, elaborando modelli di sviluppo coerenti con le sfide attuali.

Una piattaforma in continua evoluzione, per definire “una visione di sviluppo turistico bilanciato, basato sulla vivibilità e la qualità della vita di residenti e ospiti”. In Friuli Venezia Giulia, a Malborghetto Valbruna, in Valcanale, “ultimo pezzetto di terra al confine con Austria e Slovenia”, si punta su una rete di escursioni e percorsi, tra cui i 19 chilometri di piste da fondo.

Scendendo lungo la Penisola, troviamo la cooperativa di comunità Valle dei Cavalieri – Succiso, in provincia di Reggio Emilia, nel parco nazionale dell’appennino tosco emiliano, i cui valori richiamano il rispetto per l’ambiente, l’amore per la montagna, la cura del territorio e la cultura dell’ospitalità. E ancora più a sud l’associazione Cammina Sila, in Calabria, nata per far conoscere le attività ecosostenibili come ciaspole, trekking, mountain bike, sci di fondo.

Per arrivare al Comprensorio Bruncu Spina, in provincia di Nuoro, L’unico comprensorio sciistico della Sardegna, dove è stato dismesso l’impianto di risalita  e i visitatori si avventurano in percorsi “esperienziali” lungo i pendii della montagna.

Vi sono, infine, due esempi d’oltralpe. Uno in Austria, a Dobratsch, nel più antico parco naturale della Carinzia, “la stazione sciistica a zero impianti” dal 2001, quando l’attività è stata interrotta perché non era economicamente conveniente mantenere gli impianti di risalita che sono stati smontati e si è optato per le attività di un turismo più dolce. L’altro in Svizzera nel Monte Tamaro, nel Canton Ticino: nel 2003 ha deciso di rinunciare al tradizionale turismo invernale per potenziare la rete dei sentieri per escursioni aperta tutto l’anno.


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