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L’intelligence tra diritto e intelligenza artificiale. La lezione di Valentini

Marco Valentini, magistrato del Consiglio di Stato e già Prefetto della Repubblica, è intervenuto al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri con una lezione dal titolo “Sistemi d’intelligence e approcci regolatori”, ecco cosa ha detto

La cultura dell’intelligence, la regolazione e i rischi di destabilizzazione in Europa. Marco Valentini, magistrato del Consiglio di Stato e già Prefetto della Repubblica, docente di Diritto penale presso l’Università Cattolica, sede di Milano e presidente onorario della Sezione “Intelligence” dell’Università della Calabria, ha parlato di questo e molto altro durante la sua lezione “Sistemi d’intelligence e approcci regolatori” tenuta al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri.

Valentini ha subito richiamato l’attenzione degli studenti sulla necessità, per affrontare compiutamente e con metodo scientifico il tema delle regole dell’intelligence – inteso come studio dei sistemi e dei modelli ordinamentali – di contestualizzare preliminarmente e accuratamente gli indicatori oggetto di esame.

Ciò in quanto, in primo luogo, identici lessici (ad esempio, l’endiadi sicurezza nazionale) sono adottati in scenari completamente diversi per forma di Stato e di governo (democrazie costituzionali, stati totalitari, autocrazie, oligarchie), senza che ne possa derivare, proprio in ragione di ciò, una nozione dal contenuto valido per ogni realtà statuale; in secondo luogo, perché il diritto (inteso, in questo caso, come sistema di regole ma anche come architettura di relazioni istituzionali, poteri e controlli) non è scienza avulsa dal contesto storico e politico, che va dunque sempre considerato sullo sfondo di qualsivoglia ricerca e/o approfondimento.

Non va trascurato poi che possono giocare un ruolo non secondario fattori imprevedibili o acute situazioni di crisi, idonei a modificare repentinamente gli scenari, con influenze di vario genere sui sistemi regolatori.

Relativamente al primo profilo, va da sé che nei sistemi a costituzionalismo democratico qualsivoglia organizzazione della funzione intelligence non può non entrare in relazione, con i limiti che ne discendono, con la sistematica dei diritti fondamentali e con il nocciolo duro che caratterizza le democrazie come, ad esempio, il principio della riserva di legge, la salvaguardia della funzione giurisdizionale e il rispetto, nella concreta attività, dei principi di necessità, proporzionalità e adeguatezza.

Sul secondo profilo, Valentini ha datto riferimento al lungo percorso della dialettica tra lex e ius, citando come due passaggi esemplificativi da un lato la ben nota ed esemplificativa vicenda dell’Antigone, dall’altro il processo di Norimberga, sulla cui scia sono maturate successivamente le importanti convenzioni internazionali in materia di diritti umani.

Quanto al terzo profilo, il docente si è soffermato sulle pericolose suggestioni del cosiddetto diritto penale del nemico e, per converso, sulla nota sentenza della Corte Suprema israeliana presieduta da Aharon Barak in materia di tortura, volta di fatto a sottolineare, in democrazia, la funzione del diritto come limite, per non contraddire l’essenza stessa degli ordinamenti.

Detto questo, nel circoscrivere il ragionamento ai sistemi a costituzionalismo democratico, il metodo più corretto appare quello di valutare le condizioni di fatto della regolazione alla luce delle scelte possibili (la prima legge sull’intelligence, n. 801/1977, adottata nella fase critica degli “anni di piombo”, sceglie di restare nel solco costituzionale, senza sbandamenti).

Inoltre, secondo il docente, è importante che il ruolo della legge, per quanto fondamentale, non vada enfatizzato.

L’esperienza tragica del fascismo, ad esempio, ha mostrato bene come ci si potesse formalmente permettere di dare vita a un Codice penale capace di recepire, con lo schermo del cosiddetto tecnicismo giuridico, alcuni principi liberali, mentre nei fatti l’attività repressiva si sviluppava nei confronti degli oppositori e delle più elementari libertà con il supporto della normativa amministrativa di polizia.

Poiché nella contemporaneità il sistema d’intelligence si compone di diversi sottosistemi, afferenti in sintesi l’ordinamento politico, quello amministrativo e infine quello operativo, è evidente che la compiuta attuazione del disegno riformatore (da ultimo, in particolare la legge n. 124/2007 e la legge n. 133/2012) non può che essere il risultato dell’interazione di checks and balances in grado di mantenere l’esercizio della funzione nei corretti binari previsti dal legislatore.

Ciò che chiamiamo oggi intelligence può essere ed è in effetti inteso correntemente come apparato, ma anche come attività o come metodo, sostiene Valentini.

Anche da questo punto di vista, appare fondamentale il percorso della contestualizzazione volto a comprendere di cosa parliamo quando parliamo di intelligence.

Due testi editi nel 2023, possono essere al riguardo esemplificativi.

Il primo (B. Tobagi, Segreti e lacune, Einaudi 2023), fondato su una ricerca archivistica che ha riguardato gli ultimi cinquanta anni della storia repubblicana, descrive un sistema informativo fortemente segnato dal contesto della guerra fredda e dalla c.d. doppia lealtà, con deresponsabilizzazione delle élite interne, vertici politici in balia dei Servizi, gravi compromissioni sullo stragismo e la strategia della tensione, un contesto complessivo in cui i Servizi come attori di aspetti occulti patiscono la democrazia.

Il secondo (Limes, n. 11/2023), intitolato “Le intelligenze dell’intelligence”, ci porta verso scenari presenti e futuri dove l’intelligence entra in relazione con l’intelligenza artificiale, l’intelligenza quantistica, lo spionaggio spaziale, l’arma cibernetica.

È possibile, si chiede Valentini, individuare un legame, una continuità tra il prima e il dopo?

E il sistema di regolazione è alla base del cambiamento o ne rappresenta una conseguenza?

Se si esaminano i tre cicli della regolazione (prima della legge n. 801/77, la legge n. 801/77 – la cui vigenza è durata un trentennio – e la legge n. 124/2007 che si approssima al ventennale), l’ordinamento del sistema politico è quello che appare più debole, per l’insufficiente cultura istituzionale e dell’intelligence che non appare aver dato abbastanza spazio alla funzione nelle politiche di governo.

Sull’ordinamento del sistema amministrativo non disponiamo di dati sufficienti a conoscere l’adeguatezza delle risorse umane in termini di nuove professionalità e soprattutto di effettivo superamento dei risalenti sistemi di reclutamento non fondati su obiettive competenze.

L’ordinamento del sistema operativo è invece quello che pare essersi giovato del migliore supporto normativo, dalla disciplina delle garanzie funzionali e della speciale causa di giustificazione per le condotte autorizzate poste in essere in violazione di legge, salve le esclusioni espressamente previste, estese per i militari all’estero dall’art. 42 sexies della legge n. 142/2022, al segreto di Stato ridisegnato e reso meglio compatibile con lo svolgimento delle attività operative, all’insieme delle numerose disposizioni per il contrasto alla minaccia cyber.

Va considerato infine che la sfida della regolazione è sempre aperta, e va di pari passo con il rapido evolversi degli scenari interni e internazionali.

Tuttavia, sarebbe sbagliato inseguire l’attualità dei mutamenti, come non di rado accade per un legislatore non esente dalla tentazione di risposte spot.

Il sistema d’intelligence richiede stabilità e visione strategica, essendo ovviamente possibile gestire limitati processi di autoriforma senza coinvolgere la legislazione primaria, come invece richiederebbe la discussione che si sta portando avanti in varie sedi sull’opportunità di superare il modello binario, in direzione di un unico Servizio, ovvero sulla istituzione di un Consiglio per la sicurezza nazionale, superando la composizione fortemente politica del Cisr in direzione di un organismo maggiormente aperto alle competenze accademiche specialistiche  e della società civile.

Il terrorismo catastrofico, d’altro canto, ha globalizzato le minacce, di fatto annullando anche quella tradizionale distinzione tra safety e security che per lungo tempo era stata considerata un tratto distintivo.

La stessa separazione tra profilo interno e internazionale tende sempre più a sfumare, mentre si pone in modo del tutto inedito, a livello planetario, il tema della sovranità degli Stati a fronte della potenza economica e informativa dei grandi colossi dell’Ict.

La realtà in evoluzione dell’Unione Europea, in uno scenario mondiale che sembra esposto a forti rischi di destabilizzazione e di crisi delle democrazie liberali, interroga sull’integrazione della funzione dell’intelligence nell’ambito dell’Unione, anche per non marginalizzarne la portata rispetto a processi senz’altro più avanzati da parte delle Forze di polizia.

Avrà un ruolo la regolazione su questi complessi scenari in forte mutamento?

Per Valentini, senz’altro sì, ma ciò che è auspicabile è che si perseguano obiettivi concreti di efficienza ed efficacia nel quadro di una complessiva crescita della cultura dell’intelligence, non un mero riequilibrio di relazioni e di funzioni, garantendo che un eventuale nuovo processo riformatore si integri nel lavoro quotidiano dell’intelligence senza produrre soluzioni di continuità.



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