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E se internazionalizzassimo il Mar Rosso? Il commento dell’ammiraglio Caffio

Il passaggio nel Canale di Suez è già garantito a tutti gli Stati. La Convenzione di Costantinopoli del 1888 di cui l’Italia è parte, è chiara nel prevedere che “il canale sarà sempre libero, in tempo di guerra come in tempo di pace, a ogni nave mercantile o da guerra, senza distinzione di bandiera”. Ma a che serve questo principio se poi appena fuori il Canale possono esservi problemi di navigazione?

Le grandi crisi – come quella del Mar Rosso che sta danneggiando le economie di molti Stati a cominciare dal nostro – portano a riflettere sulle criticità che le hanno generate e sui possibili rimedi  futuri.  A titolo accademico lo facciamo qui con riguardo ad una ipotetica iniziativa internazionale dedicata allo status  del bacino e dello Stretto di Bab el Mandeb.

Non vogliamo ovviamente parlare dei tanti risvolti politico-diplomatici della situazione del Mar Rosso e degli sforzi che la Comunità internazionale sta facendo per raffreddare la tensione. È innegabile comunque che  il nocciolo della questione stia nella limitazione del fondamentale principio della libertà di navigazione. Lo ha detto anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella sua Risoluzione 2722 (2024) dedicata alla protezione armata del traffico mercantile: “Sottolineando l’importanza dell’esercizio dei diritti e delle libertà di navigazione delle navi di tutti gli Stati nel Mar Rosso, comprese le navi mercantili e commerciali che transitano nel lo Stretto di Bab al-Mandab, in conformità con il diritto internazionale”.

Il punto è che Il Mar Rosso è una via di transito fondamentale per il commercio mondiale, come si dice una international waterway. L’interdipendenza tra il Mediterraneo e le vie di navigazione che lo collegano all’Oceano Indiano induce a trattare unitariamente, come  “maritime security complex”, la direttrice Suez-Bab el Mandeb. Qualsiasi impedimento alla navigazione al suo interno ha quindi riflessi sui collegamenti marittimi tra l’Europa e l’Oriente comportando – come avviene in questi giorni – l’uso della rotta alternativa del Capo di Buona Speranza e la conseguente la marginalizzazione del Mediterraneo. Il passaggio nel Canale di Suez è già garantito a tutti gli Stati. La Convenzione di Costantinopoli del 1888 di cui l’Italia è parte, è chiara nel prevedere che “il canale sarà sempre libero, in tempo di guerra come in tempo di pace, a ogni nave mercantile o da guerra, senza distinzione di bandiera”.

Ma a che serve questo principio se poi appena fuori il Canale possono esservi problemi di navigazione? Nel 1984, ad esempio, l’Egitto dovette chiedere all’Italia e ad altri Paesi di bonificare l’area a sud del Canale, nel Golfo di Suez, dove era stato compiuto un minamento terroristico. Tra l’altro, anche il passaggio attraverso Bab el Mandeb è da sempre rischioso, nonostante secondo l’Unclos sia uno “stretto internazionale”  (interamente coperto dalle acque territoriali di Yemen e Gibuti) in cui la navigazione dovrebbe essere senza rischi. Come fare allora per estendere oltre il Canale le garanzie che l’Egitto assicura nel Canale e nelle sue vicinanze?

Il Diritto del Mare (Art. 123 dell’Unclos) prevede che gli Stati costieri del mari semichiusi – e tale è il Mar Rosso – debbano cooperare tra loro nell’esercizio di diritti ed obblighi. La sicurezza della navigazione è di certo un settore in cui questa collaborazione ha dato buoni risultati per contrastare la pirateria nei Golfi di Aden e Guinea.   Perché allora non pensare ad un’iniziativa, magari a guida Egitto ed Arabia Saudita,  dedicata alla navigazione nel Mar Rosso? Apparente può sembrare utopica, ma in realtà alcune premesse ci sono già. Forse non sbagliava l’ammiraglio francese Henri Labrousse quando  espresse l’idea che “i Paesi rivieraschi del Mar Rosso dovrebbero ricercare una politica comune per fare di questo mare semichiuso una zona di pace aperta al traffico internazionale del Canale di Suez, che beneficerebbe di una neutralità di fatto. Uno degli elementi principali di questa politica dovrebbe essere la demilitarizzazione dello Stretto di Bab el Mandeb. I missili dell’isolotto di Perim possono ostacolare il libero passaggio delle flotte. Questa minaccia unilaterale in uno stretto internazionale ricoperto dalle acque territoriali di due altre Nazioni non è accettabile” (Strategique, 3, 1990, 225).

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