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Cosa c’è da sapere sulla minaccia russa all’Europa. Conversazione con Marrone (Iai)

Difficile pensare, secondo l’esperto dello Iai, che una Russia logorata da due anni di guerra in Ucraina possa invadere l’Europa. Ma la minaccia esiste. E l’Europa (con gli alleati) deve prepararsi all’evenienza

Nelle ultime settimane si sono moltiplicati i report delle agenzie di intelligence europee sull’intenzione di Mosca di avviare un’operazione offensiva mirata a conquistare territori di Paesi dell’Europa dell’Est. I quali vedono nella membership della Nato la garanzia della loro indipendenza. Ma se gli Stati Uniti decidessero di ridurre gli impegni internazionali, compresi quelli legati al vecchi continente, l’Europa da sola riuscirebbe a contenere la minaccia russa. E come? Formiche.net lo ha chiesto ad Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dell’Istituto Affari Internazionali.

Quanto è concreta e immediata la minaccia militare di Mosca nei confronti dell’Europa?

La Russia dopo due anni di guerra in Ucraina è più debole di quando la iniziò. Si stima che Mosca abbia perso oltre 315.000 effettivi tra morti feriti e prigionieri, ma anche importanti capacità in termini di assetti: circa la metà dei Main Battle Tank di cui disponevano le forze armate russe al momento dell’invasione sono andati distrutti in battaglia. Inoltre, la Federazione Russa ha già fatto ricorso alla mobilitazione di trecentomila coscritti, e all’aumento di capacità produttive tramite l’incremento dei turni di lavoro così da limitare gli effetti delle sanzioni. Le nuove reclute però sono necessari per coprire un fronte ucraino lungo circa mille chilometri. Essi hanno permesso a Mosca di respingere la controffensiva ucraina della scorsa estate, ma finché Kyiv continuerà ad avere le capacità di combattere non potranno essere massicciamente riposizionati altrove. È quindi difficile immaginare che la Russia possa sostenere questo impegno in Ucraina, e allo stesso tempo mobilitare le risorse umane e materiali necessari a realizzare un’invasione dei Paesi Baltici. Difficile, ma non impossibile.

Che cosa intende?

La leadership russa ha dimostrato di essere propensa al rischio, di dare un valore esistenziale alla guerra in Ucraina e di considerare fondamentale la minaccia rappresentata dall’espansione della Nato – nonostante quest’ultima avesse congelato l’adesione Ucraina dal 2008 in poi; inoltre, la presa sul potere di Vladimir Putin a due anni dall’inizio del conflitto continua a mantenersi ben salda, anche attraverso un rafforzamento della repressione e della propaganda sul fronte interno. E la fuoriuscita di diverse centinaia di migliaia di persone non favorevoli al regime è stato un ulteriore elemento di rafforzamento. Abbiamo quindi una Russia militarmente più debole rispetto a due anni fa, ma che al tempo stesso ha una leadership autoritaria più solida, più repressiva e più risk-taker. Una minaccia che non può essere assolutamente ignorata, e contro cui bisogna prepararsi.

E nell’eventualità di questo terribile scenario, l’Europa sarebbe pronta a difendere sé stessa?

Si deve fare una valutazione corretta delle forze in campo e delle capacità europee. Con 44 milioni di abitanti ed un bilancio della Difesa che è circa un sesto di quello russo, l’Ucraina è riuscita a respingere l’assalto di Mosca. Sommati, o Paesi europei della Nato hanno una popolazione di quasi mezzo miliardo di abitanti, e un bilancio della difesa che è più del doppio di quello russo, escludendo da questo bilancio la componente nucleare. Se l’Ucraina è riuscita a fermare la Russia, e addirittura a farla ritirare da una parte dei territori occupati, è logico pensare che la componente europea dell’Alleanza Atlantica, con risorse decisamente maggiori di quelle ucraine, possa fare lo stesso. Il punto è che l’Ucraina sta pagando un prezzo enorme in termini di morti, feriti e prigionieri, che ammontano a decine e decine di migliaia. A questi si aggiungono le vittime civili, che sono almeno diecimila. E se l’Ucraina è riuscita in questa impresa è grazie ad un aiuto militare occidentale che nel corso di due anni è ammontato a un totale di circa 100 miliardi di dollari, suddivisi tra mezzi e sistemi d’arma di vario tipo. Quindi, in linea di principio, i Paesi europei della Nato hanno la capacità di fermare la Russia se il conflitto non diventa nucleare, ma il punto chiave è se e come sapranno usarla senza una leadership statunitense.

Assisteremmo quindi ad una replica di quanto avvenuto in Ucraina?

Ne dubito, le modalità del conflitto sarebbero completamente diverse. Al momento dell’invasione Kyiv non aveva un’aereonautica e una marina in grado di colpire in modo significativo le forze russe in avanzata, ed ha dovuto quindi ricorrere alla manovra terrestre. Facendo poi quanto possibile per colpire la flotta russa in mare e per logorare con i droni, via aria, le forze russe. Ma se ci fosse un attacco russo ai Paesi Baltici (e in particolare l’Estonia) o al “Suwalki Gap”, la presenza sul terreno di migliaia di truppe dei Paesi occidentali implicherebbe un tempestivo intervento, all’interno del quadro Nato, la stessa aeronautica occidentale. E stiamo parlando di centinaia di assetti molto avanzati, come F-35, Eurofighter, Rafale, Gripen, ma anche F-16. Supportati da tre gruppi portaerei, ovvero quello britannico, francese e italiano. Una capacità di colpire le forze russe dal mare e dall’aria, oltre che attraverso la guerra cibernetica e quella elettronica, proprio per non arrivare a quello scontro di terra che costerebbe migliaia e migliaia di vittime agli eserciti europei. È un elemento fondamentale del modo occidentale di condurre un ipotetico conflitto che va tenuto in considerazione. Un’eventuale invasione dei Paesi Baltici non seguirebbe le stesse dinamiche degli scontri di Bakhmut, proprio per la differenza di mezzi a disposizione tra l’Ucraina e i 28 Paesi europei membri della Nato.

Dinamiche diverse per obiettivi diversi…

Il punto della Nato oggi, a differenza di prima dell’invasione dell’Ucraina, non è quello di liberare i Paesi Baltici dopo il successo di una spallata offensiva di Mosca, ma è bensì quello di prevenire che la Russia entri militarmente in quelle repubbliche. E per farlo deve contare sia sulle diverse migliaia di soldati europei già presenti sul territorio baltico, ma soprattutto su un dispositivo aeronavale rapidamente mobilitabile. Il punto principale per la difesa dell’Europa orientale, e quindi di tutta l’architettura di sicurezza europea nei confronti della Russia, si concentra dunque nella volontà dei Paesi Europei di agire e nel meccanismo decisionale politico-militare responsabile di mobilitare efficacemente le forze a disposizione.

E l’Unione Europea disporrebbe, in linea teorica, di questo meccanismo?

Al momento l’Unione Europea non ha le capacità politico-militari per gestire la difesa collettiva. Mentre una Nato seppure a trazione europea queste capacità politico-militari le ha, e per funzionare efficacemente necessiterebbe di un supporto americano concreto ma non eccessivamente esteso. In primis in termini di deterrenza nucleare, ma anche di assetti e di staff. In un dispositivo Nato che sta comunque diventando sempre più a trazione europea. Se si guardano quali nazioni sono alla guida dei Battlegroup multinazionali schierati sull, fianco orientale vediamo che in Bulgaria il ruolo-guida è ricoperto dall’Italia, in Romania dalla Francia, in Slovacchia Cechia, nei Baltici dalla Germania,  Regno Unito e dal Canada. La Polonia è l’unico Paese dove sono gli Stati Uniti ad agire da framework nation la leadership, ed è uno solo dei dieci Paesi inclusi nel fianco orientale dove è prevista una forward presence Nato. Accanto ad un forte impegno americano c’è dunque un maggiore impegno dell’Europa Occidentale rispetto al passato. Quindi il punto è politico.E riguarda lavolontà dei Paesi europei di difendersi tramite una Nato a maggiore trazione europea, nel cui comando militare integrato sono compresi il Regno Unito (che ricordiamo, è una potenza nucleare), la Norvegia e il Canada, che non sono nell’Ue ma sono parte dell’Alleanza Atlantica. E anche se la Svezia non ha ancora perfezionato il suo processo di adesione, le sue forze armate sono prontissime ad operare insieme alla Nato. In questo quadro, il punto centrale è la volontà politica e l’integrazione militare.

Volontà di dotarsi di un apparato “autosufficiente” per sconfiggere militarmente Mosca?

Anche, ma non solo. Le necessità di disporre di una quantità elevata di mezzi, specialmente mezzi terrestri pesanti che sono stati quelli più sacrificati negli anni scorsi in termini di investimenti, e di una capacità industriale e produttiva maggiore, sono finalizzate a scongiurare lo scenario di guerra, incrementando il livello di deterrenza. Livello di deterrenza che si può accrescere in vari modi: ed esempio schierando più forze sul fianco orientale, e parallelamente dotandosi di capacità di rinforzo maggiori e a più rapidamente schierabile . Nel New Nato Force Model si delinea la costituzione di una forza ad alto livello di prontezza composta da 300.000 uomini con mezzi annessi; una forza composta principalmente da risorse europee, non statunitensi. Avere alle spalle di tali rinforzi una massa sufficiente e una capacità produttiva adeguata garantisce maggiore credibilità nella dissuasione verso Mosca. Anche se, ripeto, il carattere d’attrito della guerra russo-ucraina è molto specifico, e una simile dinamica non si ripeterebbe in un conflitto Russia-Nato nella quale la marina, l’aereonautica, le capacità missilistiche e in generale tutte le long-range strike capabilities fanno parte di un modo di combattere Nato che porta a fermare, indebolire, disarticolare e distruggere le forze d’invasione prima di arrivare allo stallo della guerra di trincea,il cui costo in vite umane, tanto di civili quanto di uomini e donne in uniforme, è intollerabile oggi per l’Occidente.

Quali sono dunque i passi che i Paesi Europei devono compiere nei prossimi anni?

I Paesi europei devono investire di più della prontezza di quello che hanno in termini di addestramento, esercitazioni, munizionamento, componenti di ricambio, manutenzione, logistica, così come nella mobilità di spostare rapidamente assetti in Europa da Ovest a Est, nella quantità di determinati assetti oggi carenti (capacità anti-drone e anti-missile, artiglieria di vario tipo, Main Battle Tank), e nella qualità di strumenti militari nel complesso bilanciati. L’Italia in particolare deve smettere di usare malamente le forze armate per supplire alle carenze delle istituzioni civili, e chiudere al più presto l’operazione Strade Sicure che oggi assorbe ben 5.000 militari per compiti impropri di polizia. L’investimento in prontezza, mobilità, quantità e qualità deve essere sostenuto da un aumento nel bilancio della difesa e da una crescita nelle commesse, che porterebbero l’industria della difesa europea a investire in infrastrutture, macchinari, supply chain, personale qualificato. Aumentando così la capacità produttiva generale. È questa la traiettoria da seguire rapidamente, senza allarmismi ma senza sottovalutare la minaccia russa che comunque persiste, specie nel caso di una presidenza Trump.



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