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Il Mar Rosso e il dilemma dell’inflazione. Nuova miccia oppure no?

​Gli attacchi ai cargo delle grandi compagnie di navigazione possono rappresentare l’innesco per una nuova strozzatura dell’offerta, con tutti gli effetti collaterali del caso. Ma non tutti sono d’accordo, a cominciare da Goldman Sachs

La minaccia c’è e si sente. Il Mar Rosso può davvero giocare un brutto scherzo alle speranze di crescita del globo. Ma non tutti sono convinti che gli attacchi dei ribelli yemeniti ai grandi cargo delle compagnie di navigazione possano essere nuovo carburante per l’inflazione. Tra questi, ci sono gli economisti di Oxford Economics, per i quali sia i blitz dei corsari Houthi, sia la relativa risposta occidentale, per mezzo di raid, non impatteranno in modo strutturale sull’inflazione. Di contro, c’è chi vede nelle tensioni nel Mar Rosso, la miccia per un nuovo rialzo dei prezzi, proprio quando la discesa è iniziata, dopo tre anni di fiammate, tra pandemia e due conflitti, ancora in corso, alle porte d’Europa.

Almeno due tra le maggiori banche d’affari del mondo prevedono infatti effetti nefasti sui costi e sulle catene di approvvigionamento globali. Come, per esempio, Schroders, la quale ha evidenziato il rischio che si verifichi una tempesta perfetta. Perché al problema dei ribelli Houthi si sommano quelli del Canale di Panama, dove una combinazione di siccità prodotta dai cambiamenti climatici e variazioni delle precipitazioni ha causato un abbassamento dei livelli delle acque e il possibile impatto delle tensioni con la Cina per le elezioni a Taiwan sulle rotte di navigazioni globali.

Secondo David Rees, esperto dei mercati emergenti per Schrodersci sono tuttavia due macro-differenze rispetto all’immediato post Covid, che potrebbero aiutare a disinnescare questa bomba a orologeria. Primo, la paura della pandemia ha provocato un picco di domanda su alcuni beni, mentre ora i modelli di consumo sono molto più equilibrati. Secondo, i lockdown imposti dall’emergenza  avevano sostanzialmente paralizzato la produzione, quindi ora l’offerta è molto più stabile. Anche Jp Morgan sembra avere più di un dubbio sulla possibilità che la crisi nel Mar Rosso impatti relativamente sull’inflazione.

In un altro report dedicato alla questione, la banca d’affari americana teme l’impatto degli attacchi terroristici nel Mar Rosso sui prezzi dei trasporti marittimi e, di conseguenza, sull’inflazione, affermando che “i rinnovati aumenti dei costi di spedizione globali potrebbero effettivamente aumentare l’inflazione dei prezzi al consumo nei prossimi mesi”. Con implicazioni a livello globale, rafforzando “le nostre aspettative di uno stallo dei progressi nella riduzione dell’inflazione core globale”. A tal proposito Jp Morgan cita il calo del 30% del traffico navale attraverso il Canale di Suez dalla metà del mese scorso. Gli oltre 10 giorni aggiuntivi di transito in Africa incidono su circa il 20% dei volumi globali di container che normalmente attraversano il Canale.

Non è finita. Goldman Sachs vede al contrario il bicchiere mezzo pieno: non ci saranno effetti di grande rilievo sull’andamento dell’inflazione. La banca d’affari ha innalzato a 2,3% il valore stimato per l’Eurozona (dal 2,2% ipotizzato a maggio), in conseguenza dell’aumento dei costi di spedizione. Ma ha aggiunto che se il dirottamento delle navi per il Capo di Buona Speranza dovesse proseguire questo potrebbe crescere ancora. Gli analisti della società hanno evidenziato che lo shock non sarà “né così negativo, né così prolungato” come quello che si è visto per effetto della pandemia negli anni 2020-2022, in virtù della attuale maggior disponibilità di navi e dell’assenza di congestioni portuali dovute ai lockdown. Meno male.


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