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Mediterraneo Orientale, quale mercato per il gas dopo Gaza?

Durante l’evento organizzato dal think thank specializzato sul Medio Oriente viene delineata una panoramica della situazione attuale. Nonostante i rischi geopolitici e una forte competizione globale, le prospettive sembrano essere ottimiste

L’accrescersi delle tensioni nella regione medio orientale ha avuto senza dubbio un impatto sulla stabilità della supply chain dell’energia. La guerra a Gaza e l’escalation ai confini settentrionali di Israele hanno influenzato la produzione e l’esplorazione al largo delle coste orientali del Mar Mediterraneo, e allo stesso tempo l’insicurezza registrata nel Mar Rosso ha influenzato il trasporto energetico globale. In generale, gli eventi registrati in Medio Oriente hanno influenzato i mercati internazionali e i prezzi dell’energia in tutto il mondo.

Le dinamiche specifiche che sottostanno a questi cambiamenti sono state affrontate nell’evento “How Safe is Eastern Mediterranean Gas?”, organizzato dal Middle East Institute in data 17 gennaio 2024. Sotto la supervisione di Karen Young, presidente dell’advisory council per il programma “Economics and energy” del Mei e ricercatrice senior presso il Center on Global Energy Policy della Columbia University, le questioni principali relative alla sicurezza dell’industria del Gas nel Mediterraneo orientale sono state sviscerate da Colby Connelly, studioso del Mei e senior analyst di Energy Intelligence, e dal Dr. Gregory Brew, analista energetico per Eurasia Group.

Fin dall’inizio del dibattito emerge come i timori relativi al mercato mediorientale riflettano preoccupazioni che in realtà hanno una portata globale. Questi timori non sono tanto relativi al processo produttivo (lampante l’esempio del “Tamar field”, che in seguito agli eventi del 7 ottobre ha stoppato la produzione per poi però riprenderla subito dopo), quanto all’aspetto logistico della supply chain. Negli ultimi anni, grazie allo sviluppo del Liquified Natural Gas (Lng) e alla diffusione delle infrastrutture ad esso collegate, i mercati regionali di questa commodity energetica si sono integrati sempre di più in un unico mercato internazionale, con catene di approvvigionamento lunghe migliaia e migliaia di chilometri. Quest’integrazione ha comportato numerosi benefici, ma allo stesso tempo ha stressato alcune vulnerabilità già esistenti, come ad esempio la suscettibilità all’instabilità geopolitica. Quanto avviene nel Mar Rosso, con il Qatar che sospende le esportazioni ne è un esempio lampante.

Come si posiziona dunque il Mediterraneo orientale nel mercato globale? Esso è ancora poco integrato nel mercato globale, sia per la sua relativa “giovinezza” che per le sue specifiche caratteristiche economico-politiche, che potrebbero limitare questa integrazione. Come il fatto che in Israele (uno dei principali produttori della regione) si ragioni su quale proporzione di gas estratto dedicare all’esportazione e quanta tenere invece per le proprie riserve, con la seconda decisamente maggiore della prima; ma anche la relativa carenza di sistemi infrastrutturali per l’esportazione di questa risorsa, con la stessa Israele che non ha alternative se non quella di sfruttare le capacità egiziane, con il rischio politico che ne deriva.

Inoltre, il mercato del gas del Mediterraneo orientale dovrebbe ragionare su dove e quali siano le sue direttrici di riferimento. Con l’Australia e il Qatar (il cui ruolo è destinato a crescere) che già “monopolizzano” le aree ad Est del Medio Oriente, guardare a Ovest, e in primis all’Europa, sembra naturale. Ma qui dovrà confrontarsi con altre realtà già solide come quella americana, dove la rivoluzionale shale è già avviata da tempo, e gli Usa esportano gas a livelli mai visti sino ad ora. Oltre a questo vantaggio “temporale”, gli Stati Uniti sono una fonte molto meno instabile geopoliticamente rispetto ad altre aree, e l’esportazione non passa attraverso chokepoints di sorta. Una realtà con cui l’EastMed non può non considerare.

Ma le potenzialità per la futura crescita c’è. Nonostante si miri alla transizione energetica, il gas sarà ancora una risorsa fondamentale per i prossimi trenta-cinquant’anni, e sarà un facilitatore dello sviluppo graduale delle energie sostenibili agendo in modo complementare. Ogni fonte sarà preziosa, e i paesi della zona come Israele, ma anche Cipro e Libano, potranno sfruttare le disponibilità a proprio vantaggio. Inoltre, dei progetti infrastrutturali nel settore del Mediterraneo Orientale sono già avviati, come quello della pipeline di Ashkelon; anche se i recenti sviluppi li hanno messi in pausa, non li hanno certo interrotti. Egitto e Giordania continuano ad essere pressoché dipendenti da queste fonti, e anche l’Arabia Saudita sta mostrando un certo interesse. E anche il rischio geopolitico è relativamente basso, se messo in prospettiva: rispetto alle tensioni nel nord di Israele, gli esperti fanno notare come “Un attacco di hezbollah sulle infrastrutture energetiche impatterebbe sul sistema di rifornimento di Egitto e Giordania, e Hezbollah non vuole correre questo rischio”.

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