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Stellantis, privatizzazioni e Patto di stabilità. Meloni tra attacco e difesa alla Camera

Il premier a Montecitorio incalzato da dieci quesiti. Mano tesa all’ex Fiat, a patto che faccia anche gli interessi dell’Italia. Le nuove regole fiscali sono il meglio che l’Italia potesse ottenere. E nessuna svendita delle aziende di Stato, ma solo politica industriale

Un attacco a Stellantis e una difesa, a spada tratta, delle privatizzazioni. In mezzo, il Patto di stabilità, quello nuovo se così lo si può chiamare. C’era attesa alla Camera per il question time di Giorgia Meloni, inchiodata da dieci quesiti, non solo dell’opposizione. Prima questione, il difficile rapporto con l’ex Fiat, oggi un tutt’uno con i francesi di Psa-Peugeot, spesso in odore di disimpegno dall’Italia, almeno secondo alcuni osservatori. Nei giorni scorsi non sono mancate le scaramucce tra Palazzo Chigi e i vertici della casa automobilistica, nella persona del ceo Carlo Tavares, con quest’ultimo che ha accusato l’esecutivo di aver sbloccato con troppo ritardo gli incentivi all’auto elettrica.

MANO TESA (MA NON TROPPO) A STELLANTIS

Ed è proprio a Montecitorio che il premier ha chiarito la posizione. “Il gruppo automobilistico Fiat, i marchi italiani collegati, rappresentano una parte molto importante della storia industriale nazionale sia in termini occupazionali sia in termini di ricchezza prodotta: è un patrimonio economico che merita la massima attenzione. E questo significa anche avere il coraggio di criticare alcune scelte che sono state fatte dalla proprietà e dal management del gruppo quando sono state distanti dagli interessi italiani, come a volte mi è capitato di fare spesso nell’indifferenza generale”, ha attaccato Meloni, rispondendo all’interrogazione illustrata da Matteo Richetti, deputato di Azione, sulle iniziative volte a garantire la continuità produttiva e occupazionale presso gli stabilimenti italiani di Stellantis e di Magneti Marelli, nell’ambito di un piano di rilancio del comparto automobilistico.

Meloni ha citato “lo spostamento della sede fiscale, della sede legale, fuori dai confini nazionali” e “l’operazione di presunta fusione tra Fca e il gruppo francese Psa che celava in realtà un’acquisizione francese dello storico gruppo italiano tanto che oggi nel cda di Stellantis siede un rappresentante del governo francese: non è un caso se le scelte industriali del gruppo tengano in considerazione molto più le istanze francesi rispetto a quelle italiane: il risultato è che in Francia si produce più che in Italia dove siamo passati da oltre un milione di auto prodotte nel 2017 a meno di 700 mila prodotte nel 2022. Secondo i sindacati dal 2021 sono andati persi oltre 7000 posti di lavoro”.

La mano, comunque, rimane tesa. “Noi vogliamo come sempre difendere l’interesse nazionale e vogliamo tornare a produrre un milione di veicoli l’anno con chi vuole investire davvero sulla storica eccellenza italiana, instaurando un rapporto equilibrato con Stellantis: il ministro Urso ha incontrato più volte le persone in questione per difendere la produzione in Italia, i livelli occupazionali e tutto l’indotto dell’automotive. Con questo scopo è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra il Ministero delle imprese e del made in Italy e l’associazione della filiera dell’automotive. È stato istituito un tavolo permanente di sviluppo nel settore al quale partecipano tutti i soggetti istituzionali e produttivi che si relazionano anche con Stellantis”.

IL SENSO DELLE PRIVATIZZAZIONI

Altro capitolo, l’ambizioso piano di privatizzazioni da 20 miliardi di euro. La strada è ancora lunga, ad oggi è stata ceduta solo un’altra quota (25%) di Mps, anche se con un’ottima e confortante risposta del mercato. Ma la volontà politica non manca. “Confermo che il governo lavora a un piano di razionalizzazione delle partecipazioni dello Stato dal quale sono attesi proventi pari ad almeno l’1% del Pil, quindi circa 20 miliardi di euro in tre anni. Un obiettivo alla nostra portata e voglio dire che io concordo pienamente sul fatto che le privatizzazioni non debbano avere come unico scopo fare cassa per ridurre il debito pubblico ma che debbano invece essere considerate anche come uno strumento di politica industriale, un fattore di sviluppo dell’economia italiana”, ha chiarito Meloni rispondendo a un’interrogazione presentata dal capogruppo di Forza Italia a Montecitorio Paolo Barelli.

“Posso confermare che è esattamente questa la strategia che ci muove: quello che noi vogliamo fare è un approfondimento strategico che porti a una razionalizzazione delle partecipazioni dello Stato secondo un approccio che è abbastanza semplice, e cioè ridurre la presenza dello Stato laddove non è necessaria e affermare la presenza dello Stato dove invece è necessaria come, ad esempio negli asset strategici”. Secondo la premier questo processo di privatizzazioni potrà portare alla “possibilità di garantire una presenza dello Stato dove oggi non c’è, per affiancare i poteri regolatori e di Golden power che sono già previsti”.

VERSO UN (NUOVO) PATTO

Nel question time, durato circa un’ora, c’è stato spazio anche per il Patto di stabilità. Anche qui Meloni ha fatto quadrato attorno alle scelte del governo. “I numeri del nuovo Patto sono sostenibili? Io penso per un governo serio sì. Più difficile sarebbe sostenerli per chi in meno di tre anni di governo ha aumentato il debito pubblico di 250 miliardi. Quelle approvate sono le regole che avremmo scritto? No. È l’intesa migliore possibile a condizioni date? Sì. Anche perché quando ti presenti al tavolo delle trattative con un deficit al 5,3% che è causato soprattutto dalla ristrutturazione gratuita delle seconde e terze case e cerchi di spiegare che ti servirebbe maggiore flessibilità è possibile che qualcuno ti guardi con diffidenza”.



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