Nonostante gli attacchi dei ribelli yemeniti ai cargo delle grandi compagnie energetiche, l’impatto sui prezzi di gas e petrolio sarà contenuto e non impedirà alle banche centrali di dare le prime sforbiciate ai tassi
Non c’è un allarme inflazione, non ancora almeno. La sequenza di attacchi alle navi cargo delle grandi compagnie energetiche nel Mar Rosso, Anasarallah, braccio armato degli Houthi, non innescherà una spirale inflattiva, in stile guerra in Ucraina, su gas e petrolio. Sì, a ridosso del Natale i prezzi di greggio e metano erano saliti in modo preoccupante, facendo rivivere all’Europa lo spettro dei primi mesi di guerra in Ucraina, quando gas e petrolio avevano cominciato a impennarsi, con effetti devastanti sulle bollette.
Il prezzo del gas in Europa viaggiava intorno al 20 dicembre sui 33 euro per megawattora, ma i futures che scambiano nel benchmark olandese erano saliti a 37 euro per megawattora. Colossi come Bp avevano bloccato i transiti in questo tratto di mare così prezioso e strategico per il commercio, dopo che i militanti Houthi avevano intensificato gli attacchi contro le navi mercantili. Bisogna sempre ricordare che gli Houthi sono sostenuti dall’Iran, che supportano Hamas e il popolo palestinese e non a caso questi assalti dei ribelli yemeniti sono diventati più frequenti dallo scoppio della guerra il 7 ottobre.
Ma, niente paura, dicono gli economisti di Oxford Economics. “Riteniamo che le perturbazioni del trasporto marittimo causate dagli attacchi alle navi commerciali nel Mar Rosso saranno relativamente di breve durata e che la recente impennata dei prezzi dei noli marittimi si invertirà”, rassicurano in un report. “Anche se ci saranno impatti a breve termine per alcune aziende e settori, questi non saranno sufficienti a modificare in modo significativo le nostre previsioni economiche o di inflazione di base”.
Insomma, niente panico? Sì, ma non troppo. “Tuttavia, se il Mar Rosso dovesse rimanere chiuso al trasporto marittimo per diversi mesi e i costi di trasporto rimanessero intorno al doppio del livello di metà dicembre, ciò potrebbe aggiungere 0,7 punti percentuali ai tassi d’inflazione annuali entro la fine del 2024”. Meno male che la “spinta inflazionistica derivante da questo scenario non sarebbe sufficiente a fermare il rallentamento dell’inflazione mondiale nel corso di quest’anno e dubitiamo che impedirebbe alla Fed e alle altre principali banche centrali di orientarsi verso un taglio dei tassi intorno alla metà del 2024”.