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Partenariato pubblico-privato, una possibile soluzione per la sanità

La questione sanitaria è al centro del dibattito politico. La sinistra critica il governo per presunti mancati sostegni ai ceti deboli, mentre la destra, responsabile in regioni chiave, gestisce la situazione sanitaria. Le lunghe code nei pronto soccorso e per gli esami strumentali hanno evidenziato la necessità di coinvolgere la sanità privata. Il Pnrr propone soluzioni, ma la loro attuazione varia tra le Regioni. Emerge l’idea di un nuovo equilibrio tra pubblico e privato, focalizzato sul cittadino-paziente. La riflessione di Luigi Tivelli

Sta emergendo da vari mesi e settimane in Italia con forza, la questione della salute, dei limiti del funzionamento della sanità e del modello sanitario in atto. La sanità è tornata ad avere un ruolo e un peso nell’agone e nel confronto politico.

La sinistra, ad esempio, ha imbracciato la questione della sanità, facendone un’arma di lotta per evidenziare che questo governo non sostiene i ceti più deboli. Come è noto, nonostante la presenza di un ministro ad hoc, la sanità è sostanzialmente governata dalle regioni. Un fattore da cui discendono i principali squilibri territoriali che investono soprattutto le regioni più affollate. E le regioni più affollate e più importanti per ciò che concerne quello che era il sistema sanitario nazionale sono la Lombardia, il Lazio e il Veneto. Tutte e tre, guarda caso, rette da governatori espressione della destra.

Mentre, quindi, la sinistra – anche sulla sanità – prova a fare la lotta, la destra, in qualche modo, dovrebbe fare il governo. Tanto si è discusso su quei pochissimi milioni aggiuntivi attribuiti quest’anno, nonostante l’inflazione, al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, ma nella sanità i problemi non sono solo quelli del finanziamento, come è noto a molti.

La miccia di accensione della questione politica della sanità e della salute è stata la questione delle code. Vuoi che siano le code ai pronto soccorso, vuoi che siano le lunghissime e quasi eterne code per poter effettuare una tac o qualche altro controllo strumentale nella sanità pubblica.

Si tratta di una questione che non si può risolvere senza coinvolgere anche la sanità privata e senza creare un nuovo asse, qualche nuova forma di osmosi tra sanità pubblica e privata.

Nel contempo, si dovrebbero implementare effettivamente i più significativi progetti del Pnrr sulla sanità, soprattutto quello riguardante le Case della salute e la digitalizzazione. Come sta già emergendo un più di qualche regione i problemi di attuazione e gestione del Pnrr, saranno non pochi. Certamente emergeranno problemi e certamente avremo una sanità a macchia di leopardo anche per quanto riguarda questi nuovi progetti da attuare. Ad esempio, non è da presumere chissà quale forma di attuazione in Calabria, dove da decenni la sanità, oltre ad essere un po’ rachitica, è pure commissariata.

In questo quadro si sta diffondendo, oggi molto più di ieri, il concetto che va costruito un modello di rapporto diverso tra sanità pubblica e privata e che, a partire dallo smaltimento delle code, delle tante analisi strumentali arretrate ma anche su altri aspetti, nell’interesse dei cittadini utenti del servizio sanitario, non si possono risolvere i gravi problemi in atto senza un nuovo rapporto, un nuovo equilibrio tra sanità pubblica e sanità privata.

In sostanza, lo sforzo coraggioso fatto dalla ministra della Sanità Tina Anselmi che varò il modello della legge 468 del 1978, si basava sostanzialmente su una piena pubblicizzazione del sistema sanitario. Un modello che è entrato chiaramente in crisi e va superato. Il problema è, però, che grazie all’introduzione del nuovo titolo V della costituzione del 2001, soprattutto, larga parte delle questioni sono affidate alle singole Regioni. Ad esempio, in Lombardia già da tempo si sono fatti passi avanti più significativi nel rapporto tra sanità pubblica e sanità privata. Un tentativo simile sembra in atto anche in Lazio, ma la questione è abbastanza complessa e tutto dipenderà dalle policies effettivamente seguite dai decisori regionali. Come è poi noto, incide su questo aspetto del problema anche il peso di certe lobby private, molto forti e autorevoli. Tenuto conto che la contiguità tra operatori privati e decisori pubblici, in vari casi come nel Lazio, ma non solo nel Lazio, è non poco ravvicinata. Ma si spera che i nuovi modelli di intervento non siano modelli “a fotografia”. In diverse Regioni ci sono varie realtà significative, sia in quanto a singole o plurime cliniche in senso tradizionale, sia in quanto a sanità privata diffusa nel territorio che, come tale, può meglio raggiungere i fabbisogni dei cittadini. E può contribuire, fra l’altro, anche alla soluzione dell’atavica questione delle code, pure perché la sanità privata è molto attrezzata sulle varie strumentazioni e operazioni diagnostiche.

Già, anche sulla scia dell’emergenza in atto, si sono profilati e raggiunti accordi operativi che prevedono un maggior coinvolgimento della sanità privata oggi rispetto a fasi precedenti, ma sarebbe il caso che questo processo non fosse affidato, appunto, al caso, all’azione di singoli amministratori e operatori, ma che ci fosse un nuovo disegno centrato per non poca parte su un rapporto virtuoso tra la sanità pubblica e quella privata.

Per fortuna entrambe sono dotate di indubbie eccellenze, in quel territorio a macchia di leopardo che è il sistema italiano della sanità, e di una certa potenziale capacità di risposta ai veri fabbisogni dei cittadini-pazienti.
È, infatti, il cittadino, il paziente che va ricollocato, con una sorta di rivoluzione copernicana, al centro di un sistema sanitario basato su un’asse virtuoso tra pubblico e privato, finalizzato soprattutto a rispondere alle istanze dei cittadini-pazienti.

Un serio orientamento verso i reali bisogni dei cittadini, per la sanità, come per altri servizi pubblici, è infatti fondamentale. Non solo perché è questa l’impostazione della nostra costituzione, ma anche perché è questa l’unica via, affinché il servizio della sanità possa assolvere alla sua missione. Nei paesi anglosassoni, per il sistema dei servizi e il rapporto tra i servizi e i cittadini, è stato varato da tempo uno slogan, che è anche una direzione di marcia, “Put people first”: “Metti il cittadino al primo posto”. Aldilà degli scontri politici, in vari casi più o meno strumentali. Ripartire dal cittadino-paziente nella sanità come in altri servizi pubblici o privati è fondamentale, non solo perché lo prescrive la costituzione ma perché questo è l’unico modo con cui si possa assolvere realmente alla missione della sanità, pubblica o privata che sia, meglio nel quadro di qualche forma di concertazione tra pubblico e privato.

In un Paese in cui lo Stato e i servizi pubblici dimostrano scarso senso dei cittadini, e di conseguenza, i cittadini mostrano scarso senso dello stato, mettere il cittadino al primo posto dovrebbe essere il primo obiettivo di rinnovati servizi sanitari. Si tratta di una missione fondamentale, sulla quale dovrebbero essere impegnate soprattutto le classi politiche dirigenti regionali, ma alla quale dovrebbero contribuire al meglio i vari soggetti pubblici e privati operanti nei diversi sistemi sanitari regionali. Certo non è facile per un terreno sin qui molto arato dalla lottizzazione, che discende per li rami del presidente della Regione, agli assessori, fino ai direttori generali delle Asl, fino alla nomina dei primari. Ma si tratta di una missione cruciale, complessa, delicata, che rientra nelle stesse basi della nostra convivenza civile. Rimettere il cittadino-paziente al primo posto potrebbe anche contribuire a limitare il fenomeno della lottizzazione, togliendolo da quelle grinfie di troppi soggetti collegati che avvolgono il sistema sanitario. Un sistema che meglio sarà integrato tra pubblico e privato meglio potrà adempiere a questa missione e rispondere alle aspettative sia dei cittadini più motivati ed informati, sia di quelli in maggiori condizioni di bisogno.

Per tale via si contribuisce a promuovere un più sentito senso della cittadinanza e appunto a cercare di reintrodurre nell’organizzazione dei sistemi sanitari quel principio di imparzialità da cui all’articolo 97 della Costituzione che sembra essere da tempo sparito dai radar della nostra vita politica e amministrativa.

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