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Perché l’Italia dovrebbe sostenere la lotta per un Myanmar democratico e federale. Scrive Scotti

Guai a lasciare la palla in mano solamente a Pechino, per riconquistare alla democrazia, in quell’area centrale del mondo, paese chiave come il Myanmar e per contribuire alla stabilità politica di una regione così importante sul piano geopolitico anche per l’Italia e l’Europa. L’analisi di Vincenzo Scotti

L’Italia ha giustamente iniziato guardare con grande attenzione all’area dell’Indo-Pacifico, con un importante impegno politico e diplomatico. Quest’area rappresenta infatti i due terzi della popolazione e del PIL mondiale ed è al centro di aggressivi interessi strategici di Cina, Russia ed India.

Il Myanmar è funestato da ormai quasi tre anni, da una violenta dittatura militare, a cui l’intera popolazione si sta opponendo con coraggio ed enormi sacrifici, ma senza grandi sostegni internazionali, se non le solite Risoluzioni Onu e alcune sanzioni europee che non colpiscono però i gangli finanziari della giunta.

Una dittatura, quella birmana, appoggiata e foraggiata sino ad oggi da Cina, India e Russia. Il 5 dicembre scorso Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di sicurezza russo, ha consegnato a nome di Putin a Min Aung Hlaing, capo della giunta militare, l’Ordine di Alexander Nevsky. In quella occasione la delegazione russa e i rappresentanti della giunta hanno discusso della cooperazione militare tra i due paesi, ma vi sono già importanti accordi economici e strategici e una cooperazione bilaterale in settori quali la difesa, il commercio e l’energia, e la costruzione di un reattore nucleare sperimentale.

Dopo il Vietnam, il Myanmar è diventato il secondo paese più importante per la Russia nel sud-est asiatico. Il carburante russo, che non può essere venduto in Europa, arriva in Birmania e viene trasportato in Cina attraverso l’oleodotto di proprietà della Myanmar Oil and Gas Enterprise e della China National Petroleum Corporation che dal Rakhine arriva sino nella provincia cinese dello Yunnan. Significativamente, la Russia è stata l’unica grande potenza a riconoscere il colpo di stato militare nel 2021, mentre il Myanmar è stato l’unico membro dell’Asean ad appoggiare l’invasione dell’Ucraina da parte russa.

Tre dei quattro viaggi all’estero che il capo della giunta, Min Aung Hlaing ha effettuato dopo il colpo di stato sono stati in Russia, dove ha firmato accordi con Rosatom per la costruzione di un reattore nucleare, di impianti di produzione di energia eolica, la apertura di voli diretti tra le due capitali e altri accordi economici.

Da una analisi dei dati doganali effettuata dal quotidiano Nikkei Asia, emerge che la Russia sta riacquistando parti per carri armati e missili che erano stati esportati in Myanmar e in India, per sostituire le armi più vecchie destinate all’Ucraina. UralVagonZavod, che produce carri armati per l’esercito russo, ad esempio, a dicembre 2022 ha importato prodotti militari dall’esercito del Myanmar per 24 milioni di dollari. La giunta birmana sta spingendo per avere l’accesso a prestiti attraverso la Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS, associazione a cui vuole candidarsi nel 2024, e per stringere legami più stretti con l’Unione economica eurasiatica (EAEU), guidata dalla Russia.

Sino ad oggi, comunque, la parte del leone l’ha sempre fatta la Cina. Oltre ad essere il primo fornitore di armi alla giunta militare birmana, Pechino ha un forte interesse economico e geopolitico nel paese delle Pagode. Un interesse che si concretizza attraverso decine di progetti industriali e infrastrutturali chiave, che puntano ad un accesso diretto all’Oceano Indiano per un valore totale di 21,863 miliardi di dollari. Tra questi l’estrazione ed esportazione di terre rare, di cui la Birmania è ricchissima, il Corridoio Economico China Myanmar (CMEC) o la Cooperazione Lancang Mekong (Lmc) nell’ambito della Belt and Road Initiative (Bri).

Ma la priorità delle priorità è rappresentata dalla ferrovia che dovrebbe collegare la zona economica speciale e il porto profondo di Kyaukphyu, che si teme possa diventare un porto dual- use per la marina cinese e, che collegherà la Baia del Bengala con la provincia cinese dello Yunnan. Un porto di fronte all’Ins Varsha, la base navale della Marina indiana, in costruzione nel Golfo del Bengala, che dovrebbe ospitare i sottomarini nucleari indiani. La distanza tra i due siti è di circa 1000 km.

Mentre tutti gli analisti e gli esperti fino ad oggi, ritenevano che sarebbe stato impossibile sradicare la dittatura militare e puntavano a una mediazione impossibile tra la giunta e il Governo di Unità Nazionale, che rappresenta l’opposizione democratica, dalla fine di ottobre scorso, le carte in tavola sono cambiate radicalmente. Con l’”Operazione 1027” lanciata al confine con la Cina dalla Three Brotherhood Alliance, composta da alcune organizzazioni etniche armate, la giunta sta subendo pesanti sconfitte, sia in termini di perdite territoriali che di truppe. La grande offensiva coordinata dalle forze della resistenza birmana, dal mese di novembre si è allargata ad altre aree del Paese fino a lambire le grandi città di Yangon e Mandalay. Molti battaglioni dell’esercito birmano si sono arresi e hanno consegnato postazioni militari e armi alla resistenza, mentre tutto il tessuto sociale del paese collabora con i People Defence Forces.

Persino la Cina, che ha sempre attuato la politica dei due forni, dialogando contemporaneamente con la giunta e le organizzazioni etniche armate, ha facilitato l’avvio dell’Operazione 1027 dopo che decine di cittadini cinesi sono stati uccisi dalla polizia delle Guardie di frontiera birmane, mentre cercavano di scappare da un complesso di centri anti-truffa. Infatti, uno degli obiettivi dell’operazione coordinata dalla Three Brotherhood Alliance è stato quello di “sradicare le frodi nelle telecomunicazioni, i covi di frodi e i loro protettori in tutto il paese, comprese le aree di confine tra Cina e Myanmar”. Oltre un migliaio di centri per le truffe, per l’elaborazione di fake news, il traffico di esseri umani, gestiti da gruppi criminali cinesi, cresciuti come funghi, con il consenso tacito della giunta e delle sue milizie, che ne hanno tratto enormi vantaggi economici.

Un sistema criminale che rappresenta una minaccia internazionale e che secondo l’Onu gestisce affari per oltre 24 miliardi di dollari l’anno, grazie al rapimento e la messa in schiavitù in Myanmar, di oltre 120.000 cittadini stranieri, molti dei quali cinesi.  I cosiddetti schiavi del web. Un sistema che Pechino aveva chiesto invano alla giunta di estirpare. Non è un caso, infatti, che la Financial Action Task Force (Fatf) attraverso il Gafi, che guida l’azione globale per contrastare il riciclaggio di denaro, il terrorismo e il finanziamento della proliferazione, il 27 ottobre 2023 ha confermato ancora una volta il Myanmar nella cosiddetta “lista nera” tra le 3 giurisdizioni a più alto rischio al mondo (le altre sono Corea del Nord, Iran)

Oggi che le forze democratiche, in una nuova alleanza, che supera le divisioni passate tra le minoranze etniche e la maggioranza Bamar, e che ormai controllano oltre il 60 per cento del paese, sarebbe fondamentale che l’Italia superasse l’impasse di comune accordo con la Ue e l’impossibile logica di voler negoziare con una giunta che bombarda quotidianamente i propri concittadini. Le flebili misure restrittive Ue, adottate l’11 dicembre scorso, mostrano come ancora oggi la Ue sia troppo timida e prigioniera logiche vecchie e superate dai fatti.

Si dovrebbe invece accettare il fatto che l’opposizione democratica birmana tutta, rifiuta ogni tentativo di dialogo che miri al ritorno alla situazione pre-golpe, ovvero ad una impossibile convivenza tra militari e civili, in cui i militari controllano le leve politiche ed economiche del paese e non si assoggettano invece al controllo civile.

Per contribuire ad accelerare la capitolazione della giunta, l’Europa dovrebbe, come ha fatto il governo Usa, sanzionare le due banche di stato birmane, impedendo così l’afflusso di valuta pregiata, che garantisce a tutt’oggi la sopravvivenza della giunta e l’acquisto di carburante con cui l’aviazione militare, e stanziare robusti sostegni finanziari, come ha fatto il Burma Act di Biden, per assistenza tecnica e non letale alle organizzazioni etniche armate, al Governo di Unità Nazionale (Nug) e alle organizzazioni del movimento per la democrazia, così da accelerare il cambiamento e la costruzione di uno stato democratico e federale.

Queste azioni, unitamente ad un forte intervento diplomatico saranno fondamentali, per non lasciare la palla in mano solamente a Pechino, per riconquistare alla democrazia, in quell’area centrale del mondo, paese chiave come il Myanmar e per contribuire alla stabilità politica di una regione così importante sul piano geopolitico anche per l’Italia e l’Europa. Uno sguardo lungo e un investimento politico robusto permetterebbe di stringere per il futuro legami non solo politici ma anche economici di sicuro interesse anche per l’Italia.



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