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Anche l’Italia ha il suo Piano per contrastare il cambiamento climatico. Obiettivi e sfide

I cambiamenti climatici rappresentano una delle sfide più grandi che ci troviamo ad affrontare. Il nostro Paese si trova nel cosiddetto “hot spot mediterraneo”, un’area che vari studi internazionali hanno identificata come particolarmente vulnerabile a questi fenomeni. Ecco cosa dice il Piano nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) approvato dal ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin

Con un decreto del 21 dicembre scorso, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin ha approvato il Piano nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc). “Un passo importante per la pianificazione e l’attuazione di azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nel nostro Paese”. L’obiettivo è quello di “fornire un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, a migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socio-economici e naturali, nonché a trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche”.

I cambiamenti climatici rappresentano una delle sfide più grandi che ci troviamo ad affrontare. Il nostro Paese si trova nel cosiddetto “hot spot mediterraneo”, un’area che vari studi internazionali hanno identificata come particolarmente vulnerabile a questi fenomeni. Il nostro territorio continua a subire gli effetti di alluvioni, erosione delle coste, dissesto idrogeologico, carenza idrica a causa degli eventi estremi legati al cambiamento climatico. L’aumento delle temperature con conseguenti ondate di calore, siccità, piogge intense contribuiscono ad intensificare i rischi degli impatti economici, sociali e ambientali che sono destinati ad aumentare nei prossimi anni.

Già nel 2015 la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Snac) aveva presentato un insieme di proposte e di possibili azioni per contrastare questi fenomeni, sulla base degli Accordi di Parigi sottoscritti lo stesso anno. Tra questi i piani nazionali di adattamento. Nel 2021 la Commissione europea aveva presentato la nuova Strategia (“Plasmare un’Europa resiliente ai cambiamenti climatici”) che, in accordo con il Green Deal, mirava a “realizzare la trasformazione dell’Europa in un’Unione resiliente ai cambiamenti climatici entro il 2050” attraverso un “adattamento più intelligente, più sistemico e integrato, più rapido, oltre che una intensificazione dell’azione internazionale”. Gli obiettivi delineati nella Strategia europea sono stati poi rafforzati dalla Legge europea sul clima che, integrando nell’ordinamento comunitario l’Accordo di Parigi e l’Agenza 2030 delle Nazioni Unite, prevedeva che “gli Stati membri adottino e attuino strategie e piani nazionali di adattamento”.

Val la pena ricordare che il primo accordo sottoscritto dalla comunità internazionale in materia di lotta ai cambiamenti climatici risale al lontano 1992, in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo di Rio de Janeiro. La Convenzione sui cambiamenti climatici già allora prevedeva la stabilizzazione delle emissioni di gas climalteranti e l’obbligo per gli Stati di adottare misure di adattamento. Il Protocollo di Kyoto del 1997 rese vincolanti gli obiettivi di riduzione delle emissioni in atmosfera. L’Accordo di Parigi del 2015 costituisce ancora oggi lo strumento principale sul piano internazionale in materia di cambiamenti climatici:  stabilisce il quadro giuridico globale per affrontare le cause e gli impatti di questi cambiamenti nel periodo successivo al 2020. Senza dimenticare i 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite del 2015, un “programma d’azione globale per le persone, il pianeta, la prosperità e la pace”.

Con l’approvazione da parte del Governo italiano del Piano di adattamento si dà avvio alle attività di governance per la “definizione di modalità e strumenti settoriali e intersettoriali di attuazione delle misure del Pnacc ai diversi livelli di governo”, attraverso un  documento “finalizzato a porre le basi per una pianificazione di breve e di lungo termine per l’adattamento ai cambiamenti climatici, attraverso la definizione di specifiche misure volte sia al rafforzamento delle capacità di adattamento a livello nazionale, attraverso l’aumento e la massa a sistema delle conoscenze, sia allo sviluppo di un contesto organizzativo ottimale; requisiti di base per la definizione di azioni specifiche sul territorio”.

La struttura del piano è articolata in sei capitoli: il quadro giuridico di riferimento; il quadro climatico nazionale; gli impatti dei cambiamenti climatici in Italia e le vulnerabilità settoriali; le misure e le azioni del piano; i finanziamenti previsti; la governance. Completano la struttura quattro allegati: due documenti di indirizzo per la definizione di strategia regionali e locali; un’analisi delle conoscenze sugli impatti dei fenomeni in Italia; un quadro organico di “possibili opzioni di adattamento” che troveranno applicazione nei diversi strumenti di pianificazione a livello nazionale, regionale e locale.

Il sistema nazionale di raccolta, elaborazione e diffusione dei dati climatici dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) “risponde all’esigenza di armonizzare e standardizzare i metodi di elaborazione e di rendere disponibili dati, indici e indicatori utili a rappresentare e valutare lo stato, le variazioni e gli andamenti del clima in Italia”. Prendiamo come riferimento il 2022. Le precipitazioni sono state inferiori alla media, soprattutto in inverno e primavera nell’Italia centro-settentrionale, “con anomalie precipitative superiori a -40%” rispetto agli anni precedenti”. L’estate è stata caratterizzata da “un caldo intenso e prolungato” con temperature massime che hanno superato il 38°C. Le simulazioni sul lungo periodo, centrate sul 2050, non sono certo incoraggianti e possono diventare catastrofiche in assenza di interventi incisivi.

Anche per la salute umana. In Italia, a causa dell’elevata percentuale di popolazione con età superiore ai 65 anni (23% nel 2020) sono le temperature estreme e le ondate di calore a rappresentare i maggiori pericoli. Oltre agli anziani, risultano particolarmente esposti e vulnerabili i bambini e i malati cronici. Secondo il ministero della Salute, nel luglio 2022 “si è osservato un incremento significativo della mortalità peri a  +21%” soprattutto nelle città dove si sono verificate ondate di calore. E il nostro Paese rimane uno con i più alti tassi di mortalità per le elevate temperature. Secondo alcune stime il numero dei morti associate a fenomeni climatici estremi potrebbero crescere fino a 60 volte rispetto ad oggi entro la fine del secolo.

Il Piano, quindi, “mira alla costruzione di un contesto organizzativo incentrato sulla definizione di una struttura e dei criteri di governance e sullo sviluppo delle conoscenze”. Innanzitutto con l’istituzione di un Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici: un tavolo di coordinamento e confronto per individuare le priorità di intervento e l’attuazione delle azioni di adattamento. Individuando finanziamenti e risorse nazionali ed europee. L’Europa, infatti, “ha individuato un obiettivo di spesa pari ad almeno il 30% a favore dell’azione per il clima, nell’ambito del quadro finanziario 2021-2027”. In particolare per la ricerca scientifica e tecnologica; per le infrastrutture di trasporto, energetiche ed idriche; per l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca sostenibili.

Siamo soltanto all’inizio di un cammino che si presenta di non facile attuazione. Secondo il presidente di Legambiente Stefano Ciafani occorre mettere in campo “una chiara e decisa strategia di prevenzione attuando al più presto le azioni previste dal Piano”. “Solo per i danni delle due alluvioni che nel 2023 hanno colpiti Romagna e Toscana, l’Italia ha speso 11 miliardi di euro, risorse economiche che, con campagne di prevenzione e azioni di adattamento e mitigazione fatte per tempo, potevano essere in parte risparmiate”.

Per questo il Piano prevede una struttura di governance a livello nazionale che coinvolga tutte le amministrazioni, gli enti tecnici e la società civile. Una struttura che sarà fondamentale per la “definizione di modalità e strumenti settoriali e intersettoriali di attuazione delle azioni del Pnacc ai diversi livelli di governo” nell’ottica di garantire la circolarità delle risorse e in stretta sinergia con l’Osservatorio e il Forum permanente “per la promozione dell’informazione, della formazione e della capacità decisionale dei cittadini e dei portatori di interesse”.



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