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Pubblico e privato, la tensione liberale e lo sforzo ordinatore della politica secondo Castellani e Funiciello

Il rapporto fra dimensione pubblica e aziende private, la figura del manager e la forza ordinatrice che la politica dovrebbe esercitare sul potere. Il libro del politologo della Luiss, Lorenzo Castellani al centro dell’Aperithink organizzato da Formiche, a cui ha partecipato anche Antonio Funiciello

Quando si parla di potere, spunta sempre lui. Gianni Letta. Ed è Antonio Funiciello, saggista, manager già capo di gabinetto di Mario Draghi a formulare che “il ruolo che ha avuto Letta, nell’affermazione della leadership di Silvio Berlusconi” meriterebbe di “essere inserito e studiato nei libri di storia”. Prima di tutto perché, nelle variegate declinazioni e accezioni con cui si può caratterizzare il potere, il punto di certezza è che “l’amico Gianni Letta si è sempre mosso in nome dell’interesse nazionale”.

Il rapporto tra potere e politica, tra pubblico e privato nelle diverse epoche, sono stati i temi al centro dell’aperithink organizzato ieri sera da Formiche, moderato dalla direttrice Flavia Giacobbe, che ha avuto come protagonisti Funiciello, appunto e il docente di storia delle dottrine politiche alla Luiss, Lorenzo Castellani.

La riflessione prende le mosse proprio dall’ultimo libro di Castellani, Il Minotauro. Governo e management nella storia del potere, Luiss University press.

L’autore nel volume scandisce convenzionalmente la storia del potere “in quattro fasi”. Il fil rouge è proprio il rapporto tra management, imprese e burocrazia pubblica. E l’evoluzione “di questo rapporto che, dall’800 a oggi, ha portato a una compenetrazione sempre più evidente tra il mondo delle imprese e lo Stato”. Talvolta con una presenza pervasiva di quest’ultimo, in particolare a partire dagli anni ’70. Probabilmente uno dei motivi per i quali, sostiene Castellani, “non solo in Italia, ma più in generale in Europa, da allora non abbiamo esempi di grandi imprese industriali”.

Il punto di rottura del processo che, dopo le rivoluzioni industriali, aveva portato le burocrazie statali ad assomigliare sempre di più a imprese private – con un florilegio di aziende pubbliche che hanno avuto l’ambizione di funzionare con le dinamiche del mercato – arriva attorno agli anni ’70.

Da quel momento storico, analizza l’autore, “avviene un’inversione del processo: inizia la stagione delle privatizzazioni, delle liberalizzazioni e nasce l’idea di introdurre la figura manageriale all’interno delle aziende statali”. Se è tanto vero che questo cambio di paradigma avviene sul piano pubblico, è altrettanto vero che parallelamente anche il modello delle imprese private cambia radicalmente. “Il sistema a piramide – così il politologo della Luiss – si ribalta completamente e diventa in qualche misura un sistema industriale a stella. Svecchiato e meno verticale”.

Di qui la situazione “pulviscolare” a cui assistiamo adesso nel rapporto tra la sfera pubblica e quella privata. Un rapporto che, secondo Funiciello, è caratterizzato da una “tensione costante”.

Non è un caso, che “l’autore sia partito dalla figura mitologica del minotauro, simbolo di ambiguità per ripercorrere la storia del potere”. Una storia che a detta del saggista “deve essere raccontata”. E in questo senso il volume di Castellani, partendo dal passato, “pone delle grandi questioni per il presente”. Ed è per questo che Funiciello lo definisce “un volume di impegno civile”. Del resto, osserva, “noi viviamo un momento difficile” e dunque la “tensione liberale” descritta da Castellani è una chiave di lettura interessante per capire, oggi, il rapporto tra pubblico e privato e tra potere e politica.

Una relazione, quest’ultima, che secondo Funiciello “è conflittuale” ma che in qualche misura deve esserlo. È la politica che dovrebbe “esercitare la sua forza ordinatrice” per “ridurre la conflittualità tra le diverse forme del potere”. Non sempre tuttavia ci riesce. E l’esempio di questo parziale fallimento è il momento storico che stiamo vivendo, “caratterizzato da conflitti emergenti” in cui “la politica fatica a svolgere il suo ruolo ordinatore”.

Anche per fattori esogeni di oggettivo “ridimensionamento della capacità decisionale del potere nazionale”. Uno dei diversi effetti, spiega Funiciello, “dell’integrazione europea”.

La dimensione sovranazionale è lo spunto, per Castellani, per ribadire un concetto: “I centri della decisione si sono decisamente spostati rispetto alla dimensione nazionale”.

A questo punto, come si fa a stabile chi, tra l’ex premier Mario Draghi e l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha più potere? “In termini di policy – risponde Castellani – sicuramente Meloni, che è stata eletta dopo un voto popolare e sta cercando di portare avanti un programma elettorale. In termini di rappresentanza, Mario Draghi”. Anche se, osserva in chiusura il politologo della Luiss tornando al tema di partenza, “il ruolo di maggior potere che ha avuto Mario Draghi, non l’ha avuto in Italia, ma in Europa”.

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