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Biden e Trump, fenomenologia di due leadership

Nell’anno in cui è iniziato il conto alla rovescia per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, Stefano Graziosi nel suo ultimo libro “Joe Biden” edito da Edizioni Ares, ricostruisce il percorso dell’inquilino della Casa Bianca e confronta due modelli di leadership diverse, la sua e quella di Donald Trump. Ne pubblichiamo un estratto

Il duello tra Biden e Trump avviene anche sul piano della leadership. In termini weberiani, potremmo dire che Trump, incarnando uno stile bonapartista, presenti una leadership legata al fattore “carismatico”: cioè, principalmente fondata sulla personalità e sulla capacità attrattiva della sua figura.

Dall’altra parte, Biden esprime una leadership maggiormente basata sul fattore “tradizionale”: come abbiamo visto, l’attuale presidente si è presentato di fatto come un restauratore e ha più volte sottolineato l’esperienza derivatagli dalla sua lunga carriera politica (prima come senatore e poi come vicepresidente). È inoltre forse possibile analizzare le due leadership anche alla luce del concetto di “autorità”, elaborato da Alexandre Kojève.

Tra i vari tipi di autorità individuati da quest’ultimo, ce ne interessano qui soltanto due. Da una parte, abbiamo l’“autorità del padre”, che si richiama alla tradizione e al passato; dall’altra, l’“autorità del capo”, che si fonda sulla capacità (reale o presunta) di previsione e che quindi si rivolge al futuro. Mentre la prima, sostiene Kojève, è tipica dell’approccio legittimista, la seconda è invece ascrivibile al leader.

Ebbene, nel primo caso abbiamo Biden nel secondo Trump. E ha poco senso sostenere che lo stesso Trump avrebbe avuto propositi di “restaurazione”, in forza del suo ormai famoso slogan “Make America great again”: l’ex presidente ha infatti sempre presentato sé stesso in termini energicamente antisistema. Attenzione: qui non stiamo dando un giudizio di valore né analizzando se ci sia coerenza tra le tipologie di leadership e gli atti concreti dei due presidenti. Ci limitiamo a tentare una comprensione di come entrambi hanno cercato di presentarsi agli elettori.

Trump si è sempre proposto come il candidato di rottura verso l’establishment di Washington e come colui che, nella sua critica al professionismo politico, sarebbe stato in grado di far uscire gli Stati Uniti dal pantano (ecco l’autorità del capo). Biden, dal canto suo, si è presentato come colui che avrebbe ripristinato il buon tempo antico, facendo spesso appello alla sua lunga esperienza politica (ecco l’autorità del padre).

Se il primo guarda al futuro, il secondo guarda al passato. E questo lo diciamo senza dare un giudizio di valore: “futuro” e “passato” sono concetti descrittivi, non valutativi. Trump può contare su un carisma solido contrariamente a quello assai flebile del rivale. Il rischio in cui incorre, è semmai quello di una personalizzazione eccessiva delle dinamiche politiche, oltre a delle difficoltà nella routinizzazione del carisma stesso.

Biden punta a trasmettere un senso di stabilità e di normalità in antitesi all’irruenza del rivale. Il problema, per lui, è proprio la debolezza della leadership, che trasmette un senso di irresolutezza e, a tratti, di confusione. Senza contare che l’idealizzazione del passato a cui si rifà non è esattamente popolare in vari strati dell’elettorato.

 


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