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Caso Moro, il ruolo determinante del Kgb e l’ossessione (sbagliata) per la Cia. Parla Tortorella

Dopo quarantasei anni, il caso Moro fa ancora discutere. A tornare sul tema è la trasmissione Report con la testimonianza dell’ex numero due del Psi, Signorile. Ma il problema è la narrazione sul ruolo dei servizi segreti e l’ossessione sulla Cia. Ma in realtà l’implicazione maggiore la ebbe il Kgb. Conversazione con il giornalista, già vicedirettore di Panorama, Maurizio Tortorella

Quarantasei anni dopo, c’è ancora una verità che aspetta di essere scritta. Una storia che non conosce fine. Intrecci, collusioni, segreti, piombo e sangue. La trasmissione Report, con la testimonianza dell’ex vicesegretario del Psi, Claudio Signorile, è tornata su uno dei casi che più di tutti hanno segnato la vita di questo Paese: il rapimento e l’uccisione da parte delle Brigate Rosse dello statista democristiano, Aldo Moro. Tuttavia, c’è un “problema di narrazione” che riguarda in particolare il ruolo dei servizi segreti. “Si parla sempre, ossessivamente del ruolo della Cia nel caso Moro. Ma nessuno parla mai a sufficienza del ruolo, decisamente più rilevante, che ebbe il Kgb”. A dirlo a Formiche.net è Maurizio Tortorella, giornalista, saggista e già vicedirettore di Panorama, che si occupò del cold case qualche decennio fa.

Tortorella, secondo lei quale fu il ruolo della Cia nel caso Moro?

È plausibile che gli Usa non nutrissero particolare simpatia per l’operazione di avvicinamento al governo del Partito Comunista Italiano, anche nel solco di ciò che era stato stabilito nel corso della conferenza di Jalta. Ed è altrettanto verosimile che i servizi americani e britannici abbiano avuto un ruolo di copertura e inquinamento della situazione durante il rapimento del leader democristiano. Ma tutto questo è nulla rispetto alle implicazioni del servizio segreto russo, il Kgb.

Si spieghi. Come entra il Kgb in questa storia?

Atteniamoci ai fatti. Aldo Moro muore il 9 maggio 1978. Il 29 maggio dell’anno successivo, Valerio Morucci e Adriana Faranda furono arrestati in una casa borghese, di viale Giulio Cesare (al quarto piano). Casa di proprietà di Giuliana Conforto, che venne arrestata con diverse contestazioni di reati tra cui il favoreggiamento dei due capi brigatisti (tra cui l’assassino di Moro). Non solo. Tra le armi che vennero ritrovate nell’appartamento c’era anche la Skorpion 7.65 con cui venne ucciso Moro. Ebbene, Conforto era la figlia di Giorgio: un agente di rango elevato del Kgb in Italia.

Chi era, veramente, Giorgio Conforto?

Si dice che l’Urss l’avesse infiltrato già negli anni ’30 nelle file del Partito Nazionale Fascista. A ogni modo, fu uno degli agenti di più alto rango del servizio segreto russo in Italia. Era, formalmente, impiegato al ministero dell’Agricoltura. E, tra le altre cose, ricevette l’Ordine di Lenin tra le più alte onorificenze concesse in Russia. Insomma, alla luce di questi fatti il ruolo del Kgb mi pare più che evidente.

Perché, secondo lei, l’informazione “pecca” di reticenza sull’ombra dei servizi russi?

Perché l’informazione italiana è evidentemente inquinata e politicamente orientata. Permangono spinte anti-atlantiche e anti-americane. Basta accendere la televisione per ascoltare filo-putinisti, anti-israeliani e, appunto, antiamericani di ogni sorta.

Giuliana Conforto venne assolta per insufficienza di prove. 

Sì, un fatto alquanto strano. Così come è strano che Conforto sostenne di non conoscere la vera identità dei terroristi rossi che, tuttavia, abitavano in casa sua da oltre un mese quando vennero arrestati. Terroristi che lei, amichevolmente, chiamava Enrico e Gabriella. Tutto molto strano. Tra le altre cose, va detto che lei fu affiancata da un avvocato che faceva capo ad Autonomia Operaia. E questi sono fatti. Ma proviamo, solo per un momento, a immaginare cosa sarebbe potuto accadere se i brigatisti fossero stati trovati in un appartamento e in compagnia di persone anche lontanamente riconducibili alla Cia. Ci sarebbe stata la rivoluzione.

Molto controversa è la figura dell’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga. Per lo meno stando alla ricostruzione di Signorile. Che idea si è fatto?

Cossiga, che ho conosciuto personalmente, non ce lo vedo nel ruolo luciferino che gli viene attribuito. Era amico di Moro. È difficile credere che fu un depistatore, come lo si vuole dipingere. Per lo meno questo è quello che penso io.

La testimonianza del numero due del Psi è attendibile, secondo lei?

Non so. I socialisti all’epoca erano trattati come traditori della patria perché volevano – praticamente soli – percorrere la strada della trattativa con le Br. Per cui, in sostanza, erano egli emarginati. Tra l’altro mi sembra che le questioni trattate da Signorile siano per lo più già emerse.

L’ex ministro Dc, Beppe Fioroni, che presiedette la seconda commissione parlamentare d’indagine sul caso Moro, sostiene che sarebbe utile fare un’altra commissione. Cosa ne pensa?

Tutto dipende dall’onestà degli uomini che la compongono. Sarebbe già un grande passo avanti se venissero pubblicate le carte del dossier Mitrokhin. Documenti sui quali, in questi anni, si è creata una grande patina di silenzio.



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