L’ammiraglio Aquilino fornisce una lettura sui rischi che l’assertività cinese su Taiwan può produrre nel breve periodo, dal Pacific Forum delle Hawaii. Pechino non apprezza il risultato delle elezioni e potrebbe sfogare i problemi con Taipei (anche contro Washington)
Gli osservatori dell’Indo Pacifico sono stati piuttosto presi in questi giorni dall’intervento dell’ammiraglio John Aquilino, comandante dell’IndPaCom del Pentagono, durante il Pacific Forum di Honolulu, perché l’alto ufficiale statunitense ha detto chiaramente che c’è da aspettarsi presto uno show di forza cinese attorno a Taiwan e anche qualche dimostrazione di forze “qui, dalle parti delle Hawaii”.
“Quando si verifica qualcosa che non gli piace, tendono a prendere provvedimenti”, ha detto l’ammiraglio riferendosi alle elezioni taiwanesi, aggiungendo che poi Pechino probabilmente darà la colpa agli Stati Uniti – d’altronde lo fa anche la narrazione con cui viene descritta la destabilizzazione in corso nell’Indo Mediterraneo. “La campagna di pressione contro Taiwan continua e la stiamo osservando sulla scia delle elezioni”, la Cina “chiaramente non è contenta” e gli Stati Uniti “non dovrebbero sorprendersi” se “[il governo cinese] tenterà di far passare la questione nello spazio informativo come se gli Stati Uniti fossero l’aggressore”.
Due giorni fa, il ministero della Difesa Nazionale di Taiwan ha segnalato un aumento significativo dell’attività dell’Esercito di liberazione nazionale (noto con l’acronimo inglese Pla): “Dalle 19:50 (ora locale, ndr) del 17 gennaio abbiamo rilevato aerei Pla (inclusi SU-30, Y-8 e vari altri, 18 in totale) che hanno attraversato la linea mediana e sono entrati nelle nostre ADIZ nord, centro e sud-ovest (ADIZ significa “Zona di identificazione di difesa aerea”, e sono quelle aree, dichiarate unilateralmente, in cui un Paese può richiedere di identificare, individuare e controllare qualsiasi velivolo vi entri, ndr)”.
La Cina ha anche inviato almeno un pattugliatore navale insieme agli aerei, e sta evidentemente mostrando i muscoli dopo che i taiwanesi hanno consegnato, per la terza volta di fila, l’amministrazione dell’isola autogovernata al Partito democratico progressista (che ha una visione autonomista, con il nuovo presidente William Lai che ha avuto anche un passato movimentista indipendentista). “Non so come si possano collegare questi punti, ma sono piuttosto efficaci nello spazio informativo. Non è necessario che sia vero. Basta che lo dicano abbastanza volte”, dice Aquilino a proposito dell’incolpare gli Stati Uniti di ciò che accade.
Per quanto riguarda le elezioni, Aquilino ha detto che gli Stati Uniti e i loro alleati e partner devono “capire cosa succederà, dobbiamo aspettarcelo”, ma dobbiamo anche “respingere la disinformazione”. Inoltre, gli Stati Uniti e le nazioni like-minded dovrebbero essere consapevoli del fatto che “le pretese espansive della Cina nel Mar Cinese Meridionale non sono più solo un’idea. Quello che stiamo vedendo, per quanto riguarda Second Thomas Shoal e i nostri partner filippini, è che dalla retorica si sta passando agli atti, che si tratti di azioni legali, di guerra dell’informazione o di azioni fisiche, nell’applicare o tentando di applicare questa rivendicazione illegale”.
Sostenere Taiwan
L’ammiraglio americano ha rimarcato comunque che gli Stati Uniti non hanno cambiato la loro posizione su Taiwan – essenzialmente tarata sull’ambiguità strategica abbinata alla One China Policy. Mira Resnick, vice assistente segretaria di Stato per la sicurezza regionale presso l’ufficio degli affari politico-militari, ha espresso nei giorni scorsi come i vari aspetti della posizione americana siano collegabili: dice infatti che gli Usa vogliono garantire “la pace nello Stretto di Taiwan, la sicurezza di Taiwan e la sicurezza degli Stati Uniti”.
A tal fine, gli Stati Uniti hanno lavorato per “accelerare [l’arrivo] di prodotti (ossia vendite militari, ndr) a Taiwan di cui hanno bisogno, e per assicurarsi di ritagliare dalle nostre risorse […] un’assistenza che possa essere utile a Taiwan, cosa che non abbiamo mai fatto prima”, ha spiegato Resnick al sito specialistico Defense One. In caso di conflitto, infatti “Taiwan avrà bisogno di cose che sono già posizionate sull’isola, quindi stiamo cercando di assicurarci che Taiwan abbia ciò di cui ha bisogno e che continuerà ad avere ciò di cui ha bisogno in qualsiasi tipo di contingenza”.
È uno degli argomenti di cui i funzionari della Difesa e i responsabili politici degli Stati Uniti e di più di una dozzina di Paesi alleati si sono incontrati a Waikiki, quartiere delle Hawaii, questa settimana per discutere i modi per contrastare la crescente minaccia alla sicurezza dalla Cina. “L’obiettivo è far lavorare le persone insieme e in realtà elaborare azioni specifiche che alla fine riusciranno a difenderci meglio”, ha detto David Santoro, presidente del Pacific Forum, parlando con Hawaii News Now: “La gente è consapevole che c’è un ‘problema Cina’ detto-non-detto. E la domanda ora è: cosa possiamo fare al riguardo?”.
L’evento “Operationalizing Integration in the Indo-Pacific” del Pacific Forum è stato organizzato nei giorni in cui il Pentagono rendeva pubblico la sua prima National Defense Industrial Strategy, volto a modernizzare e semplificare la macchina da guerra americana – anche pensando alla Cina. Laura Taylor-Kale, assistente segretario alla Difesa per la politica delle basi industriali, ha detto ai media presenti alla conferenza che il piano da tre a cinque anni mira a scoraggiare gli avversari statunitensi e soddisfare le richieste di produzione man mano che le minacce si evolvono, che vanno dai missili balistici agli attacchi informatici: “Usando la nostra forza industriale e l’innovazione per essere in grado di produrre le capacità di cui abbiamo bisogno, [… di farlo] a velocità e su larga scala. Questo è un deterrente”.