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Riformare i trattati: ora o mai più. Le prossime Europee secondo De Meo (FI)

Conversazione con l’eurodeputato forzista: “Il bis di von der Leyen? Prematuro parlarne, occorre rafforzare l’infrastruttura e riformare i trattati. Elezione diretta del presidente della Commissione? Ci sono altre priorità. I tre leader candidati alle Europee? Si rischia che l’appuntamento europeo si trasformi, come è avvenuto in passato, in un dibattito nazionale”

Le burocrazie emergono lì dove non c’è una forza politica che afferma la sua visione, la sua credibilità e quindi è importante che i partiti e i gruppi politici riprendano quel ruolo guida di un’istituzione importante come quella europea, che non può essere fatta da burocrati. Lo dice a Formiche.net l’eurodeputato di Forza Italia Salvatore De Meo che mette l’accento sulle priorità della prossima campagna elettorale e sopratutto della prossima legislatura: la riforma dei trattati. “Migliorare alcune regole di funzionamento è un punto fondamentale non avendo una Costituzione”.

Quale l’obiettivo di Forza Italia alle Europee?

Di confermarsi all’interno del Partito popolare europeo rafforzandone la presenza per poter avere ancora più credibilità, non solo come partito, ma anche come espressione del governo italiano. Fi è un partito di garanzia, in quanto i popolari saranno la famiglia che oggi, e anche domani, determineranno le sorti della nuova Commissione nella nuova legislatura, sia in termini di nomine ma soprattutto di strategie, di indirizzi che ci auguriamo siano sempre più di buon senso, L’obiettivo principale è confermare ancor di più la nostra presenza in termini autorevoli nel Ppe all’interno di quello che è lo scenario nazionale ed europeo.

Antonio Tajani sarà candidato?

Questo è un qualcosa che dovreste chiedere a lui, non è un dato che che conosco e non ne abbiamo nemmeno mai parlato. Al di là del riferimento nella conferenza stampa di ieri della presidente Meloni, non è detto che tutti gli altri debbano seguirla perché altrimenti a mio modestissimo avviso si rischia che l’appuntamento europeo si trasformi, come è avvenuto in passato, in un dibattito nazionale, deviando l’attenzione su quelli che sono i veri temi, le vere posizioni e le vere soluzioni. Questo è il rischio che si corre quando i leader nazionali concorrono in un appuntamento del genere, assorbendo il ruolo istituzionale.

A proposito di temi europei, Tajani da Parigi ne ha lanciati due molto molto interessanti: il primo sulla difesa comune europea e il secondo sul sentirsi cittadini europei. Che ne pensa?

La difesa comune è un tema che il presidente Berlusconi ha sempre rilevato quale criticità di un’Europa che non riesce, in maniera piena e funzionale, ad esprimere le sue potenzialità. Difesa comune significa iniziare ad avere un sentimento comune di appartenenza e questi due concetti lanciati da Tajani vanno di pari passo. Essere cittadini europei non significa rinunciare ad essere cittadini italiani, francesi o spagnoli: l’uno è inclusivo dell’altro. Io mi auguro che questo sia il grande tema che la campagna elettorale e ancor di più la prossima legislatura, vorrà mettere al centro. Perché il futuro dell’Europa deve ripartire dal basso, deve recuperare una credibilità nei confronti dei cittadini verso cui si è percepita una distanza, una lontananza anche tematica. Sarà fondamentale concentrare l’attenzione sulle reali esigenze dei cittadini e delle imprese che vogliono accompagnare tutte le strategie, anche ambiziose che l’Europa ha lanciato, ma vorrebbero degli strumenti di buon senso.

In che misura?

Non slogan e teorie, ma passi pragmatici che ci permettono di essere protagonisti: essere cittadini europei significa oggi avere un ulteriore scudo con cui poter affrontare le sfide sempre più globali e sempre più difficili, per le quali è necessario avere una forza di coesione e una forza di unità che solo l’Europa ci può garantire, rimuovendo alcune criticità.

Con quali riforme?

Bisogna stabilire ciò che l’Europa deve avere come competenze e all’interno di queste competenze evitare che le burocrazie possano così fermarsi a dei dettagli che, evidentemente, non sono le priorità politiche in una comunità europea che deve guardare ad altre esigenze. Questi episodi hanno evidentemente accentuato la differenza tra i livelli nazionali e quelli europei e hanno prestato il fianco a quei sentimenti sovranisti che hanno consolidato una narrativa contro l’Europa. Io credo che ci sia bisogno di una visione politica. Le burocrazie emergono lì dove non c’è una forza politica che afferma la sua visione, la sua credibilità e quindi è importante che i partiti e i gruppi politici riprendano quel ruolo guida di un’istituzione importante come quella europea, che non può essere fatta da burocrati. Deve essere fatta invece da persone che come nel nostro caso provengono da esperienze di territorio e di amministrazione di enti locali. Ma non è tutto.

Ovvero?

Anche in questa legislatura ci siamo trovati a contenere questa ideologia green che ci ha spesso fatto vedere un’Europa non a colori, ma in bianco e nero: un’Europa che non ha saputo probabilmente leggere le dinamiche mondiali che sono cambiate all’indomani della pandemia e di due guerre che sono ancora in corso. Per cui c’è bisogno di un’Europa che sia molto più attenta, resiliente e flessibile: quella che stiamo cercando di costruire, con non poche difficoltà, con la spinta del Partito Popolare europeo e mi auguro anche di una sensibilità diversa da parte di tutti gli stati membri.

Rispetto a cinque anni fa la maggior parte dei Paesi europei che arrivano alle elezioni di giugno hanno dei governi di centro o di centrodestra: i socialisti governano solo Germania e Spagna. Quali le cause?

Questo sentimento si percepisce dagli esiti di molte consultazioni elettorali che ci sono state nei vari Paesi dove alcune esperienze di sinistra non hanno generato quelle condizioni prospettate anche in termini di opportunità a fronte delle quali abbiamo sempre contrapposto un modello moderato che è quello del Partito Popolare. Un modello che riesce a coniugare lo sviluppo economico con la parte sociale ed ambientale. Questo il vero motivo su cui bisogna insistere: mi auguro che i cittadini in maniera consapevole, utile e responsabile esprimano il loro diritto di voto scegliendo quei gruppi politici che sono in grado di poter determinare in maniera pragmatica, seria e illuminata le nuove scelte strategiche di un’Europa è ad un bivio: trattare le scelte più importanti della sua storia, tra cui la riforma dei trattati, su cui ci giochiamo moltissimo. Migliorare alcune regole di funzionamento è un punto fondamentale non avendo una Costituzione.

Un bis di Ursula von der Leyen secondo lei è possibile? E con quale maggioranza?

Non credo che spetti a me in questo momento commentare. Non sono in grado di poter esprimere questo tipo di previsioni, mi auguro che ci sia una figura che riesca ad interpretare bene quelle che sono le esigenze di una espressione popolare. In questi anni von der Leyen è stata presa più volte tra più gruppi, tra cui verdi, liberali, socialisti quindi ha dovuto lottare per tenere un po’ la barra dritta. Non ha saputo a mio avviso, contenere le degenerazioni di Timmermans e quindi questo è stato un elemento che spesso l’ha posta anche in una condizione di critica da parte del Partito Popolare europeo che invece avrebbe voluto una fermezza maggiore per far capire che alcuni temi non sono degli uni o degli altri e soprattutto non devono essere divisivi. L’Europa è il luogo della condivisione, non della divisione. E quindi chiunque sarà la presidente o il presidente della Commissione dovrà avere questo grande senso di responsabilità.

Crede sia replicabile in Europa la riforma che il governo ha inteso fare sul premierato? Cioè potremmo un giorno votare il Presidente della Commissione europea?

Un giorno sì, ma lontano. Ci sono a mio avviso altre modifiche da fare prima di arrivare a questa che è altrettanto importante. Parlavamo prima di sentirsi cittadini europei: questo passaggio successivo deve essere anticipato da una consapevolezza da parte di cittadini di vari Stati membri di essere protagonisti e di essere anche nella condizione di avere la prerogativa di scegliere il Presidente della Commissione. È un passaggio ambizioso ma non credo che sia la priorità assoluta oggi: l’Europa ha bisogno di rivedere anche la modifica del sistema elettorale e mi auguro che lo si possa fare gradualmente portando tutti a far capire che bisogna rendere ancora più forte questa istituzione.



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