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Riforme sì, ma quali? La cultura istituzionale che serve all’Italia secondo Sisci

Norme elementari di prudenza dovrebbero spingere a stare attenti nel mettere mano alle istituzioni di un Paese comunque fragile, perché rischia di venire giù tutto. Senza cultura e obiettivi ben studiati generali, ogni riforma al friabile ordinamento istituzionale si trasforma nella distruzione del Paese. Il Paese ha bisogno di riforme, ma ancora di più di cultura per farle. Farle senza cultura è la fine. Il commento di Francesco Sisci

L’Italia non ha un destino storico preciso. La sua unità è stata una invenzione geopolitica di inglesi e francesi prima e di americani dopo. Nel 1861, Londra sostenne l’attacco di Garibaldi al regno di Napoli per fermare l’espansione austriaca e russa nel Mediterraneo. Il cervello e l’anima di quella spedizione dal nord furono un siciliano e un calabrese, Francesco Crispi e Giovanni Nicotera, da giovani amici del poi Napoleone III. Trent’anni dopo furono primo ministro e ministro degli Interni filo prussiani, per scrollarsi un po’ del peso anglo-francese.

Nel 1945, gli Stati Uniti vollero di nuovo l’Italia unita per ancora fermare l’avanzata sempre russa e sempre nel Mediterraneo. In qualche modo il destino dell’Italia unita e antirusso. Dopo avere assicurata l’unità, l’Italia del Regno o della Repubblica cercò interstizi diversi per scovare uno spazio più suo. Con il regno scivolò in manie di grandezza fasciste conclusesi con l’umiliazione e la fine del sistema. Anche Mussolini, reggente del re, era sostenuto da anglo-francesi per l’intervento italiano in guerra contro l’Austria. Mussolini poi abbandonò gli alleati storici, di 70-80 anni, a favore della Germania hitleriana per inseguire un sogno di espansione coloniale fuori tempo massimo in Etiopia. La Repubblica oggi sembra finire con un vuoto mentale e culturale e la frantumazione dello Stato unitario senza nemmeno vacui sogni imperiali.

Diversamente dall’Italia unita politicamente, l’Italia spazio-geografico ha una storia millenaria di staterelli in conflitto fra loro. Ciascuno ha destini geopolitici chiari, naturali che attingono al proprio passato antico o meno che sia. Prima il potenziamento delle regioni con la riforma e poi oggi la ventilata eliminazione del limite di rielezione dei governatori regionali creano una chimica politica nuova insieme alla debolezza e vuoto mentale progressivo dei governi centrali degli ultimi anni. Le regioni infatti, con storie e identità politiche e culturali ben più solide di quella “italiana” (si pensi a Venezia, Firenze, Milano, Napoli, la stessa Roma) se liberate dalla “gabbia nazionale” e con leader forti sul territorio possono diventare dinamo di una forza centrifuga irresistibile.

Ciò si somma a un contesto internazionale dove i grandi protettori politici del Paese, l’America e l’Europa, non hanno le energie e l’attenzione per pensare all’unità d’Italia. È in corso una guerra mondiale a pezzi e l’Italia non è un terreno cruciale. L’Italia, la sua unità politica sostanziale, forse, può essere sacrificata sull’altare di maggiori premure. Certo un’Italia spaccata, che a sua volta spacca l’Unione europea costituisce una vittoria per la Russia. Ma l’Italia non si frantuma in tempi brevi e forse in tempi non lunghissimi la Russia stessa è a rischio. Il punto può essere risolvere la questione russa prima che l’Italia vada a pezzi. Se dopo l’Italia si frantumerà non sarà poi grave.

Dato che le riforme attuali mettono in moto una deriva ma non creano una esplosione del Paese, non c’è nessuna urgenza di intervento e senza un intervento urgente la deriva fra un po’ potrebbe diventare inarrestabile. Il fatto che un governo di “fratelli d’Italia” abbia dato un’accelerata al processo in corso è una ironia della storia. È in sostanza dovuto alla pochezza della sua classe dirigente che non riesce a guardare al di là del naso e del giorno per giorno. O forse pensa, ingenuamente, che con il controllo del governo centrale e un suo ipotetico rafforzamento con un nuovo premierato, le spinte centrifughe si compensino e si invertano. Ma sono pensieri su carta perché il premierato non si sa cosa e come sarà e le spinte centrifughe nella penisola sono storicamente più forti di quelle centripete, se non compensate non da Roma ma dall’esterno. Le spinte esterne oggi sono per la frantumazione non la concentrazione.

In ogni caso, norme elementari di prudenza dovrebbero spingere a stare attenti nel mettere mano alle istituzioni di un Paese comunque fragile, perché rischia di venire giù tutto. È triste perché forse le intenzioni non erano malandrine come quelle di altri, ma la pavidità nella scelta dei cervelli e l’ignoranza politica generale (detto senza insulto ma tecnicamente) ha portato a questo risultato.

Alternative ce ne sono?

La signorina (come si diceva con grande rispetto ai miei tempi) Elly Schlein (Pd) pare (diciamo?) ancora più improvvida. Giuseppe Conte (M5S) e Matteo Salvini (Lega) invece paiono il gatto e la volpe, intenti ad avanzare le proprie personali fortune politiche anche a costo di buggerare il Pinocchio/Italia.

Senza cultura e obiettivi ben studiati generali, ogni riforma al friabile ordinamento istituzionale si trasforma nella distruzione del Paese. Il Paese ha bisogno di riforme, ma ancora di più di cultura per farle. Farle senza cultura è la fine.


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