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Una serata nella sede del Pd di Roma. Appunti dai militanti

Si parla di autonomia differenziata e legge di bilancio in una sede del Pd romano, popolato da poco più di dieci persone di età media piuttosto alta. Eppure le domande al senatore, arrivato per l’occasione, riguardano l’oggi e, soprattutto, il domani

Fa freddo, non c’è neanche una stufetta, eppure gli spiriti non sono affatto freddi. È la sera di un giorno di fine gennaio, e dentro la sede di un quartiere romano del Partito democratico ci sono una decina di persone a parlare di autonomia differenziata e legge di bilancio. L’età media è alta, oltre i sessant’anni, i manifesti alle pareti raccontano di un passato che molti di quegli uomini e donne hanno conosciuto personalmente. Non fino a Gramsci, anche lui alle pareti, ma quasi, almeno alcuni.

A guidare i lavori il segretario del circolo, poi un iscritto che ha fatto da capo segreteria a diversi ministri e presidenti del Consiglio del Pd, e poi dovrà arrivare un senatore, dicono, lo chiamano per nome, ci vuole un po’ a capire chi sia. Intanto, però, l’ex capo segreteria racconta quali sono i problemi non dell’autonomia differenziata, ma di “questa” autonomia differenziata: è stata concepita per distruggere l’unità del Paese, e la distruggerà.

È una riforma costituzionale mascherata da legge ordinaria, sganciata, grazie a un artificio retorico, a ogni eventuale onere per lo Stato, ma che avrà un impatto sulla finanza pubblica inimmaginabile, spiega. Non bisogna derubricare persone “personaggi” come Calderoli (firmatario della riforma) a semplici macchiette, afferma deciso il capo segreteria: lui, ricorda, è uno dei massimi esperti di regolamenti parlamentari, per questo è riuscito a scrivere una legge che bypassa ogni strumento di vigilanza e tutela.

Arrivano domande dai presenti: interventi, appunti, interrogativi. “Ma l’autonomia differenziata non piaceva anche a noi?”, “Il titolo quinto l’abbiamo riformato noi…”, “ma noi come la pensiamo?”. Intanto è arrivato il senatore, che informa un po’ sull’iter del disegno di legge che recentemente è stato licenziato al Senato, chiarisce tempistiche e anche che, sfortunatamente, tutti gli interventi proposti dal gruppo del Partito democratico sono stati bocciati in commissione, impedendo anche un eventuale miglioramento della legge. E poi c’è quel “noi”. Il senatore torna indietro nel tempo: “La riforma del titolo V fu fatta da noi per cercare di rubare consensi alla Lega che all’epoca voleva il federalismo. Sembrò un modo per togliergli un tema dalle mani e controllarlo, ma ora viene usato per accusarci di aver cambiato idea”. E in effetti regioni a guida Pd hanno guardato per anni con favore a questa possibilità, una su tutte l’Emilia Romagna guidata da Stefano Bonaccini, sconfitto alle ultime primarie della sua vice in regione, Elly Schlein.

E allora la domanda di una signora seduta in terza fila, che si colora in viso nel parlare di un partito di cui non è chiara l’identità. “Bisogna parlare, trovare una risposta alle domande che ci vengono fatte da chi da fuori ci critica. Non possiamo semplicemente dire che ci opponiamo: noi cosa proponiamo? Cosa vogliamo fare?”. È un punto che toccano in tanti, lì nella stanzetta fredda del circolo rionale del Pd, ci si chiede cosa sia il partito guidato da Schlein: “La sua elezione è stata un messaggio chiaro di desiderio di cambiamento, ma ora questo cambiamento dov’è?”, chiede un’altra delle partecipanti.

Lo dice il senatore, le critiche che arrivano al Partito democratico toccano punti reali e concreti, perché il Pd è stato negli ultimi anni il partito che si è assunto la responsabilità di governare in momenti di crisi. Se Schlein critica il governo attuale sulla sanità – come successo recentemente alla Camera – Meloni risponde che la sanità è in queste condizioni per colpa del Pd che ha governato negli ultimi 10 anni. “Sul lavoro, sull’autonomia, e anche sulla sanità questa critica che arriva da destra è in parte vera”, spiega, “perché noi ci siamo presi carico delle sorti del Paese e questo non paga, a livello elettorale”. Ma non basta, alle signore del circolo. “Bisogna fare autocritica”, dice una, “bisognerebbe mettersi assieme e dirsi cosa di buono si è fatto in passato e cosa invece non è andato bene. Ammetterlo e poi andare avanti”. Insomma, un po’ di sana autocoscienza, e non è secondario che arrivi da chi si occupa del “gruppo donne”.

Si arriva alla fine della serata cercando una nota positiva, ma è difficile da trovare. Le persone presenti parlottano tra loro, salutano il senatore, si avviano verso l’uscita. Potrebbe esserci rassegnazione, ma non è quello che si percepisce uscendo da quella stanzetta. È l’incontro della politica dei palazzi con la politica delle bancarelle e dei volantini, che pone interrogativi di forma e sostanza che rimangono aperti come le porte della sede rionale. In attesa che qualcuno li ascolti.


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