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Il mondo si sta preparando al ritorno di Trump? La risposta di Graham Allison

Non è certo che l’ex presidente venga rieletto, ma vi è una possibilità concreta. In un articolo pubblicato su Foreign Affairs, l’accademico americano spiega in termini non propriamente “canonici” come il resto del mondo si sta adattando a questa evenienza

“Opzione Put” e “Hedging” sono due termini normalmente impiegati all’interno di un contesto prettamente finanziario. Il primo è un contratto che dà al proprietario il diritto di vendere un’attività a un prezzo fisso fino a una data prestabilita, mentre con il secondo termine si indica una strategia volta a tutelare un investimento a termine da possibili sviluppi negativi imprevisti. Eppure questi concetti possono essere utilizzati anche per spiegare l’impatto negli equilibri politico-economici di oggi di un evento futuro, possibile e forse anche probabile. E l’evento in questione è la rielezione alla Casa Bianca di Donald Trump.

A realizzare questa particolare analisi è nientemeno che Graham Allison, ex-assistente del Segretario degli Difesa degli Stati Uniti per la politica e la pianificazione, Douglas Dillon, professor of Government presso la Harvard Kennedy School e autore del blasonato volume “Destined for War: Can America and China Escape Thucydides’s Trap”, incentrato sulla crescente competizione tra le due superpotenze del nostro mondo. In un articolo pubblicato su Foreign Affairs, Allison dimostra infatti come la possibile vittoria di Trump nelle elezioni del novembre 2024, con tutte le conseguenze che quest’evento implicherebbe, già pesano sulle scelte dei leader politici.

Come nel caso del conflitto in Ucraina, dove a godere del cosiddetto “Trump put” è il presidente russo Vladimir Putin. Anche se la situazione sul campo di battaglia, dove nonostante una sostanziale immobilità della linea del fronte un altissimo costo in vite umane e non solo viene pagato ogni giorno, sembra adatta per spingere entrambe le parti al compromesso, il leader del Cremlino non sembra intenzionato a intraprendere seriamente un percorso negoziale. Questo perché egli è ben consapevole di cosa l’eventuale trionfo elettorale del Tycoon significherebbe per l’Ucraina. D’altronde, è stato lo stesso Trump ad esplicitarlo: “Direi al presidente ucraino Volodymyr Zelensky: niente più aiuti. Dovete fare un accordo”. In un simile contesto, la capacità negoziale della Federazione Russa crescerebbe esponenzialmente, permettendole di raggiungere un accordo decisamente più vantaggioso rispetto a qualsiasi tipo di compromesso raggiungibile in questo momento.

Viceversa, è l’Europa a dover considerare un “Trump hedge”. Il ritorno della Guerra in Europa ha riportato alla ribalta il ruolo della Nato, che vincola (almeno teoricamente) gli Stati Uniti ad intervenire in difesa dell’Alleato Europeo in caso di aggressione. Ma con la candidatura di Trump che si fa sempre più forte, nel Vecchio continente tornano alla mente le parole, pronunciate dall’allora cancelliera Angela Merkel in seguito ai suoi colloqui con The Donald, che lo stesso Allison ricorda nel suo articolo: “Dobbiamo lottare per il nostro futuro da soli”. E questa consapevolezza pesa, quando si deve decidere sugli aiuti da inviare a Kyiv.

Il peso del Tycoon si sente però anche altrove. Esso ha aleggiato pesantemente sulla città di Dubai, durante i lavori dell’ultima edizione della Cop28: i risultati di quest’edizione sono stati accusati di essere molto formali e poco sostanziali, e in questo risultato ha giocato un ruolo anche la presunta trumpcard (o meglio, la Trump-card) dei repubblicani. Allison evidenzia come i grandi attori globali, dalla Cina all’India fino agli stessi Stati Uniti, abbiano fino a ora incrementato l’uso di combustibili fossili anziché ridurlo, e che loro vogliano evitare di prendere costose e irreversibili decisioni che potrebbero danneggiare il loro sviluppo; soprattutto se c’è il rischio che alla Casa Bianca torni l’uomo che ha fatto suo lo slogan elettorale “drill, baby, drill”. Trump hedging, nella terminologia suggerita dall’accademico americano.

E ancora, le promesse fatte dal candidato (alla nomination repubblicana, per ora) sullo smantellamento del sistema di libero scambio promosso dal suo successore Joe Biden e sulla forte imposizione di tariffe doganali spingono i leader stranieri stanno visualizzando scenari futuri in cui gli Stati Uniti potrebbero “avere più successo nello sganciarsi dall’ordine commerciale globale che nel costringere gli altri a sganciarsi dalla Cina”. Così come le dichiarate intenzioni sulla questione migratoria stanno spingendo molte capitali del continente panamericano a valutazioni tutt’altro che positive.

Non è possibile predire con certezza l’esito della competizione elettorale, nessuno può farlo. Ma quello che possono fare i leader del sistema internazionale è cercare di adattare le proprie strategie per massimizzare l’efficacia delle proprie scelte sulla base delle informazioni disponibili, applicando al contempo un corretto approccio di risk management. Proprio come in borsa. E di questo, forse, Trump ne sa qualcosa.



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