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Perché è vero che l’Italia in Africa può stupire. Il punto di Varvelli

Con il vertice che si è tenuto oggi a Roma “non stiamo pensando di cambiare le sorti dei rapporti tra Europa e Africa”, spiega Varvelli, direttore dell’ufficio di Roma dell’Ecfr, “ma stiamo offrendo qualcosa di concreto. E si vede che su questo il governo italiano ha lavorato con le aziende, acquisendo visione pragmatica”

Se è vero che “l’Africa è un continente che può e deve sempre stupire”, come ha detto nel suo discorso Giorgia Meloni, aprendo la Conferenza Italia-Africa di oggi al Senato, è altrettanto vero che “urge passare dalle parole ai fatti”, come ha detto Moussa Faki, presidente della Commissione dell’Unione Africana. Ed è tutto qui il senso del grande vertice, che l’Italia ha voluto come primo incontro internazionale dell’anno di presidenza del G7, affidando ai rapporti con il continente “fiducia” su obiettivi comuni.

È “fiducia” uno dei termini e dei concetti più ricorrenti in effetti — con Politico per esempio che titolava stamane sull’Europa che “trattiene il respiro” guardando a Palazzo Madama. “L’Africa ripone molta speranza nella presidenza italiana del G7”, ha detto il presidente di turno dell’Unione Africana, il comoriano Azali Assoumani fissando negli occhi Giorgia Meloni: “La precedente presidenza italiana del G7 pose l’accento su vari temi di interesse per l’Africa, la riduzione delle diseguaglianze, la gestione dei conflitti, l’imprenditoria, la formazione” e, in tal senso, Assoumani ha detto che i temi posti al vertice Italia-Africa di oggi richiamano, e rilanciano, l’impegno italiano in Africa

E però, c’è una serie di punti, “scontati” per una platea africana, meno per una platea europea. Li ha ricordati sempre Faki, dopo aver espresso soddisfazione per la presenza a Roma delle più alte istituzioni europee, e aver sottolineato la ricchezza del continente in termini di risorse, che ha infatti ricordato come il principio cardine per il continente sia la “libertà di scelta dei suoi partner, libertà non allineata a un blocco unico”. È un invocazione al reciproco rispetto, ma anche una dichiarazione sul valore profondo che gli africani stanno dando in questo momento al concetto di multipolarità, o quanto meno ai loro interessi di multi-allineamento. “Come noi non imponiamo, così non vogliamo che ci si impongano delle scelte”, ha detto.

Parte del messaggio sembra essere ormai recepito dalla platea occidentale, almeno in Europa. Tanto che il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, anch’egli a Roma, ha sottolineato che per creare cooperazione serve “rispetto e fiducia, perché uno crea l’altra e viceversa”. Direzione che vorrebbe prendere il Piano Mattei: “Si inserisce in una filosofia di relazioni che vogliamo tessere con l’Africa, anche con progetti concreti e non solo con grandi discorsi, ha detto Michel, individuando tre grandi aree prioritarie. Sicurezza e pace; prosperità (con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen che ha individuato “energia e formazione” come i temi di slancio); e infine contrasto all’immigrazione illegale (tramite un impegno rinnovato che lavori sui canali legali d’ingresso).

I temi del piano italiano

Dagli incontri odierni emergono alcuni elementi che caratterizzano il Piano Mattei e dunque l’impegno italiano con l’Africa. Si parla per esempio di promuovere la formazione dei docenti, aggiornare i curricula, avviare corsi professionali, e collaborare con le imprese, coinvolgendo gli operatori italiani, basandosi sul modello di Piccola e Media Impresa.

Particolare attenzione sarà posta sul ridurre i tassi di malnutrizione, sviluppare le filiere agroalimentari, sostenere i bio-carburanti non fossili, con attenzione all’agricoltura familiare, salvaguardia del patrimonio forestale e adattamento ai cambiamenti climatici attraverso un’agricoltura integrata.

Attenzione speciale, anche dopo l’esperienza della pandemia, sarà affidata nel rafforzare i sistemi sanitari migliorando l’accessibilità e la qualità dei servizi, potenziare le capacità locali in gestione, formazione, e impiego del personale sanitario, investire nella ricerca e digitalizzazione, e sviluppare strategie di prevenzione contro minacce alla salute, come pandemie e disastri naturali.

Inoltre tra gli obiettivi c’è rendere l’Italia un hub energetico tra Europa e Africa, con un focus su efficienza energetica, energie rinnovabili, transizione dei sistemi elettrici, sviluppo di tecnologie energetiche locali, e l’istituzione di centri di innovazione. Abbinato a questo, a cavallo tra transizione energetica e cambiamenti climatici, due grandi sfide per il continente, c’è la sicurezza idrica. Affrontare la scarsità d’acqua in Africa tramite perforazione di pozzi fotovoltaici, manutenzione di punti d’acqua esistenti, investimenti nelle reti di distribuzione, e sensibilizzazione sull’uso di acqua pulita.

Punto di slancio del Global Gateway?

“L’impalcatura, anche a livello di narrazione, è valida, anche perché evita di calcare sull’eccezionalità della nostra offerta, consapevoli che siamo in un mondo competitivo dove ci sono più offerte sul tavolo, tra cui c’è anche quella dell’Italia”, spiega Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio di Roma dell’Ecfr. “Ma questo ci permette di essere rappresentati come fattibili: non stiamo pensando di cambiare le sorti dei rapporti tra Europa e Africa, ma stiamo offrendo qualcosa di concreto. E si vede che su questo il governo italiano ha lavorato con le aziende, acquisendo visione pragmatica”, sottolinea.

Ed è già una risposta chiara, un’identificazione davanti a certe preoccupazioni africane. “Anche l’idea di destinare delle risorse, sebbene non saranno così impattanti, su progetti mirati dà un contributo a rendere fattibile il piano. Ora resta da capire come i singoli progetti siano parte di una strategia ampia del nostro Paese”, aggiunge Varvelli. Per il direttore dell’ufficio romano del think tank paneuropeo, “complessivamente il piano è positivo, con fondi stanziati e struttura creati in modo intelligente anche se è ancora poco rispetto al Global Gateway”.

Come potrebbe integrarsi il piano italiano con il progetto strutturato dall’Ue? “Immagino che si troveranno meccanismi di coordinamento, e la cosa migliore sarebbe se il Piano Mattei si andasse a porre come integrazione, o forse come traino del Global Gateway, italianizzando la visione di quei progetti europei, avviando screening di opportunità e creando strategie anche in chiave Italia-Ue e singoli Paesi. Questo sarebbe un modo efficace di lavorare”, risponde Varvelli.



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