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L’alternativa che Mario Draghi può rappresentare. Il commento di Polillo

Quanto finora detto da Mario Draghi può dare una prospettiva nuova all’Europa, ma solo se diverrà un patrimonio comune, sempre più coinvolgente. Ma per farlo, gli italiani devono battere ideologismi di varia natura e portata, eliminare inutili personalismi e voglie di primeggiare. Il commento di Gianfranco Polillo

La linea finora tracciata da Mario Draghi può avere successo e dare una prospettiva nuova all’Europa, nel quadro delle sue tradizionali alleanze, solo se diverrà un patrimonio comune, sempre più coinvolgente. Spetta quindi agli europei, ma soprattutto agli italiani, mettersi alla testa di un movimento in grado di far cadere vecchie pigrizie. Battere ideologismi di varia natura e portata. Eliminare dalla scena inutili personalismi e voglie di primeggiare. Occorre un dibattito rigoroso, anche aspro se sarà necessario. Ma senza perdere di vista quel filo rosso al quale è legata una scelta di civiltà.

Segnali, in questa direzione si sono già visti. Anche senza arrivare al plauso di Vittorio Feltri dalle pagine de Il Giornale. Mario Monti, ad esempio, che in passato non aveva esitato a criticare la distinzione tra il “debito buono” e quello “cattivo”, che nell’analisi dell’ex Bce rimane fondamentale, recentemente sembra aver rivisto la sua iniziale posizione. Criticando, giustamente, la proposta tedesca, a proposito delle nuove regole del Patto di stabilità, coglie le contraddizioni tra un approccio più che tradizionale ed il magma di una realtà internazionale, che ne è la completa negazione.

Sul fronte più squisitamente politico, movimenti più o meno sotterranei si colgono in tutti gli schieramenti. Nel Pd, Paolo Gentiloni, dopo la sua esperienza europea, avrà un ruolo da ricoprire. E sulle sue posizioni politiche non si possono avere dubbi. Così come all’interno della Lega, Giancarlo Giorgetti ha già dimostrato un’autonomia di giudizio, che nessuno può negare. Se poi i risultati finali hanno, almeno in parte, deluso, le responsabilità sono altrove. In un’incerta situazione politica complessiva, che stenta a liberarsi da un condizionamento fin troppo contingente.

In Fratelli d’Italia domina la figura di Giorgia Meloni. Il suo riconoscimento, a livello internazionale, è indubbio. Le sue più antiche posizioni di stampo euroscettico, sono passate in secondo piano. Quel retroterra è stato da lei stessa utilizzato nel gioco delle mediazioni, all’interno del suo schieramento politico, per consentire all’Unione di decidere su argomenti fondamentali. Rinsaldando, in tal modo, il legame con Ursula von der Leyen. Chi insiste nel rinfacciarle il passato, non riesce a comprendere i rudimenti dell’arte di governo. E la forza ch’essi esercitano sull’evolversi de profilo personale del leader.

Proprio in questi giorni Francesco Giavazzi, dalle colonne del Corriere della Sera, muovendosi lungo la linea appena auspicata, ha colto con lucidità la contraddizione che lo stesso Draghi aveva individuato. Secondo il suo modo di argomentare, il Green deal (l’azzerare entro il 2050 le emissioni nette di gas serra) e “l’autonomia militare”, necessaria per non dipendere dagli Stati Uniti, “sono entrambi obbiettivi irrinunciabili”. Poiché – questo in estrema sintesi il ragionamento – il loro perseguimento richiede la disponibilità di ingenti risorse pubbliche, queste ultime possono essere ottenute anche a debito. Grazie all’emissione di eurobond.

Se questo non avverrà, argomenta, conseguire quegli obiettivi sarà impossibile. Come in parte sta già avvenendo per decisione del “Parlamento europeo che ha fortemente indebolito le norme sui pesticidi”. Sui limiti alle “emissioni di CO2 negli allevamenti bovini, sugli imballaggi”. Mentre la stessa von der Leyen “ha riconosciuto che il progetto di transizione verde dovrà essere ripensato”.

Questa, almeno a nostro avviso, è la parte più controversa di un ragionamento contraddittorio, che tuttavia racchiude un nocciolo critico indiscutibile. L’enfasi riposta sul Green deal non è del tutto convincente. Somiglia troppo da vicino a quella “pace perpetua” che fu sogno e proposta di Emmanuel Kant. Ma che, specie in questi momenti, appare essere solo una grande utopia. Prima di pensare al 2050 abbiamo ben altri problemi da risolvere. Soprattutto cercare di fermare quei quattro cavalieri dell’apocalisse che, in Ucraina come in Palestina, stanno seminando morte e distruzione. Non siamo in grado di fornire dati precisi, ma quanto CO2 aggiuntivo è fornito da quel nugolo di bombe che, ogni giorno, distrugge palazzi, desertifica città, sconvolge i precari equilibri naturali?

Detto questo, si può arrivare al nocciolo critico. La contraddizione che si manifesta tra i nuovi bisogni, legati alla battaglia green e le risorse che sono necessarie per la loro soddisfazione. Vecchio dilemma dell’economia, quello tra la vastità dei bisogni e la limitatezza dei mezzi. Un’equazione che non può risolversi, mantenendo fisso uno dei due termini. E facendo variare solo l’altro. Ma che richiede la determinazione di un punto d’equilibrio dinamico (una sorta di “ottimo paretiano”), in cui bisogni ridimensionati e risorse accresciute possano bilanciarsi.

Ed ecco allora che le proteste degli agricoltori non possono essere considerate come una semplice questione d’ordine pubblico. Se non vi sono i soldi per compensare il sacrificio che si chiede loro, è necessario incidere su altre variabili. Come possono essere i tempi delle relative decisioni. Il loro possibile gradualismo. La riconsiderazione dell’effettivo valore del danno legato ai comportamenti devianti. Cosa che sta avvenendo. E non a causa di un politicismo eccessivo da parte della Commissione o del Parlamento europeo. Ma del bilanciamento indispensabile, come si diceva in precedenza, tra il bisogno e le risorse effettivamente disponibili. Comprese ovviamente quelle derivanti, come osserva giustamente Giavazzi, dall’emissione dei possibili eurobond.

Insomma, per concludere, non si tratta di negare il valore dell’ecologia. Tuttavia le relative scelte non possono essere trasformate in una sorta di totem. Devono rientrare, al contrario, in un bilancio di carattere più generale. In cui le diverse componenti, con le relative priorità, trovino una giusta collocazione, partendo dal problema delle risorse disponibili. Solo così si potrà uscire dall’inconcludenza e riscoprire le virtù di un sano realismo.

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