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L’apparato militare-industriale di Mosca non è così solido. E a dirlo è un generale russo

Mentre Putin dipinge la realtà produttiva militare russa con cifre all’apparenza poco veritiere, alti esponenti (ora in pensione) della gerarchia militare russa forniscono tutt’altra visione. Qual è quella giusta?

6.000 imprese dell’industria della difesa con 3,5 milioni di dipendenti, 520.000 dei quali sono stati assunti nell’ultimo anno e mezzo, a cui si affiancano altre 10.000 imprese legate al settore militare. Sono questi i numeri snocciolati dal presidente russo Vladimir Putin il 2 febbraio durante un incontro svoltosi a Tula (una piccola cittadina non distante da Mosca) con gli attivisti del forum “Tutto per la vittoria”. Cifre e toni atti a risaltare la condizione eccelsa dell’apparato militare-industriale di Mosca, che eccelso però potrebbe non essere. Le statistiche reali relative al complesso militare-industriale russo potrebbero rivelarsi molto meno brillanti di quanto sostenuto da Putin nel suo discorso. Nel 2021, il settore contava circa 1.350 imprese e due milioni di posti di lavoro. Inoltre, l’intera base industriale russa comprende 252.000 imprese. Di conseguenza, se le parole di Putin fossero corrette, significherebbe che più del 6% dell’industria russa è legata alla produzione di armi. Tuttavia, la quota di queste 16.000 imprese sul totale della produzione industriale russa sarebbe di circa il 3% rispetto ai dati pubblicati nel 2023.

La situazione sarebbe dunque molto meno rosea di quanto il leader russo voglia far credere. E c’è chi, tra i militari russi, aveva già previsto come la situazione si sarebbe potuta evolvere, senza riuscire a farsi ascoltare dal Cremlino. Come l’ex capo dello Stato Maggiore delle Forze Armate russe dal 2004 al 2008 Yuri Baluyevsky, che nel dicembre dello scorso anno ha scritto la prefazione di un libro pubblicato dal Centro per l’analisi delle strategie e delle tecnologie dal titolo “Algorithms of Fire and Steel: Weapons of Modern Wars”, dove vengono descritte le armi utilizzate nelle guerre della seconda metà del XX secolo e dell’inizio del XXI secolo, anche conflitti recenti come i combattimenti in Nagorno-Karabakh e la cosiddetta “Operazione Militare Speciale”. Nella prefazione, Baluevskiy valuta criticamente l’uso di carri armati, artiglieria e aviazione nelle operazioni offensive durante la guerra in Ucraina, e fornisce una visione negativa dello stato attuale dell’esercito e dell’industria militare russa. Non è un unicum: già prima dello scoppio del conflitto, altri ex-ufficiali dello Stato maggiore oramai in pensione avevano pubblicamente dichiarato quanto un conflitto in Ucraina avrebbe potuto essere rischioso per Mosca.

L’analisi di Baluevskiy sullo stato attuale del complesso militare-industriale russo si scontra con il “miraggio” evocato dal capo di Stato sulla capacità produttiva di armi della Russia: egli riconosce apertamente il ritardo a lungo termine della Russia nello sviluppo e nella produzione di armi, in particolare di artiglieria, carri armati e aerei, in contraddizione con le regolari dichiarazioni pubbliche di Putin e di altri alti funzionari russi. Difficile dire se Baluevskiy abbia espresso la sua opinione personale o se questa opinione sia il risultato di discussioni private con i suoi ex colleghi dello Stato Maggiore e con persone del complesso militare-industriale. Tuttavia, i suoi punti sono chiari: il Paese continua a perdere più armi di quante ne possa produrre e i depositi di armi dell’era sovietica non dureranno per sempre.

Una realtà incredibilmente diversa da quella offerta da Putin. Due le possibili interpretazioni: o il presidente è stato (volutamente o meno) male informato, o egli sta deliberatamente partecipando alla campagna di disinformazione di Mosca. In ogni caso, se personalità del calibro di Baluevskiy dubitano della capacità della Russia di continuare la guerra come nel 2022-2023, qualcosa vorrà pur dire. Forse il destino dell’Ucraina non è così segnato come sembra. E se l’Europa decide di realizzare le promesse sulla creazione di una base industriale europea per la difesa, essa non solo potrebbe garantirsi l’autosufficienza strategica (almeno in relazione alla difesa dalla minaccia russa nel breve periodo), ma potrebbe contribuire alla vittoria di Kyiv nella sua guerra di difesa.

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