Il primo colloquio del nuovo ministro della Difesa cinese è stato con l’omologo russo e ha prodotto un comunicato, quello di Mosca, che parla di “sostegno sulla questione ucraina”. Se non si vuole credere alle ambiguità cinesi, ecco altre dimostrazioni. Il commento di Laura Harth, campaign director di Safeguard Defenders
A circa un mese dalla sua nomina a dicembre 2023, il nuovo ministro della Difesa cinese Dong Jun ha tenuto il suo primo colloquio internazionale. La controparte: l’omologo russo Sergei Shoigu. Il contenuto: il più netto sostegno della Repubblica popolare allo sforzo bellico russo in Ucraina dall’“amicizia senza limiti” annunciata dai leader Xi Jinping e Vladimir Putin alle Olimpiadi invernali di Pechino nel 2022, pochi giorni prima dell’inizio dell’aggressione.
L’agenzia di stampa russa Tass riporta le dichiarazioni di Dong Jun del 31 gennaio, pubblicizzati anche in un video dell’incontro pubblicizzato dal ministero della Difesa russo: “Le autorità cinesi non smetteranno di sostenere la Russia sulla questione ucraina nonostante le crescenti pressioni degli Stati Uniti e la tesa cooperazione in materia di difesa tra Cina e Unione europea, ha detto il ministro della Difesa cinese Dong Jun durante i colloqui con il suo omologo russo Sergei Shoigu”. E, secondo lo stesso resoconto, Dong Jun ha detto all’omologo: “Vi abbiamo sostenuto sulla questione ucraina nonostante il fatto che gli Stati Uniti e l’Europa continuino a esercitare pressioni sulla parte cinese. Anche la cooperazione in materia di difesa tra Cina e Unione europea è [ora] minacciata, ma non cambieremo né abbandoneremo la nostra politica consolidata. E non dovrebbero e non possono ostacolare la normale cooperazione russo-cinese”. Infine, ha sottolineato che “essendo le due forze più importanti e chiave del mondo, dovremmo rispondere in modo decisivo alle sfide globali”.
Quest’ultima frase ricorda il famoso saluto di Xi a Putin alle porte del Cremlino nel marzo 2023: “In questo momento ci sono cambiamenti, come non ne vedevamo da 100 anni, e siamo noi a guidare questi cambiamenti insieme”.
Ma torniamo all’incontro video del 31 gennaio, di cui è disponibile solo la versione con interpretazione russa. Nonostante il fatto che l’interprete del ministro cinese fosse uno dei suoi, qualcuno ha messo in dubbio che il sostegno alla guerra russa contro l’Ucraina può essere stato così netto. Nonostante le continue dimostrazioni di partenariato nella sfida contro l’ordine internazionale basato sulle regole che accomuna i due regimi e il sostegno cinese allo sforzo bellico russo in termini economici e di beni a doppio uso, Pechino infatti ha sempre utilizzato termini velati nel suo appoggio della cosiddetta “operazione militare speciale” di Putin. Un doppio gioco che continua a far gola a coloro che non vogliono vedere.
Ma in questo doppio gioco sono importanti le parole non dette quanto quelle effettivamente pronunciate. Da esperienza personale so fin troppo bene che quando Pechino vuole smentire qualcosa, lo fa senza sé e senza ma. Così non è stato quando il suo ministero degli Esteri è stato interpellato direttamente sulle affermazioni riportate dalle agenzie russe il 1° febbraio scorso. Il portavoce Wang Wenbin ha risposto con il solito giro di parole, invitando a “fare riferimento” al resoconto russo della videochiamata e aggiungendo: “La posizione della Cina sulla crisi ucraina è coerente e chiara. Ci auguriamo che tutti i partiti si impegnino a calmare le tensioni e a creare condizioni favorevoli per la soluzione politica della crisi. Questa posizione non è cambiata”.
Basta paragonare queste dichiarazioni velate a quelle volutamente nette nei confronti dell’Ucraina per esempio. Lo stesso 1° febbraio, Pechino ha intimato a Kyiv di “rimuovere immediatamente più di una dozzina di aziende cinesi dall’elenco di aziende designate come ‘sponsor internazionali della guerra’”.
L’insieme delle dichiarazioni parla chiaro: la “posizione non cambiata” del regime cinese sta dalla parte russa, contro l’alleanza democratica di cui l’Ucraina oggi rappresenta il fronte.
E se al gioco di parole di Pechino non si vuol credere, crediamo alle sue azioni: dagli incontri ripetuti con Putin al continuo snobbare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky; dalle atrocità commesse in Cina alla repressione transnazionale e le continue violazioni della sovranità altrui; dagli esercizi navali congiunti annunciati con Russia d Iran alle intrusioni cyber nelle reti militari e infrastrutturali dei nostri Paesi alleati (come denunciato nell’ultima settimana dalle autorità statunitensi e il ministero della Difesa olandese).