Documenti ufficiali russi mostrano alcune simulazioni di operazioni belliche condotte dalle forze armate di Mosca per difendersi da un’invasione cinese. Un’eventualità che oggi sembra lontana, ma che in passato non lo era affatto
Una campagna ibrida, che trova origine nel verificarsi di sommosse a sfondo etnico, a cui segue l’intervento “ufficioso” di unità militari scelte, prima di un intervento militare su larga scala. Un copione già visto dal 2014 in Ucraina, ma che lo Stato Maggiore russo aveva immaginato ancora prima. A cambiare però è l’ambientazione: i fatti non avvengono in Ucraina orientale, ma nelle pianure del Far East; e le truppe di invasione non sono russe, ma cinesi.
Alcuni dei documenti russi condivisi dal Financial Times (il quale li avrebbe ricevuti da una non meglio definita fonte occidentale) sono relativi ad uno scenario di wargaming tra le forze armate di Mosca e quelle di Pechino nei territori orientali della Federazione. Anche se nei documenti vengono utilizzati nomi di fantasia come “Federazione del Nord” e “Dasinia”, è palese quali attori essi incarnino. Questi documenti, stilati tra il 2008 e il 2014, forniscono importanti insights a livello politico e militare: ad esempio, indicando alcuni criteri precisi che porterebbero ad un impiego di ordigni nucleari da parte di Mosca. Ma anche evidenziando i timori che il Cremlino aveva nei confronti della Repubblica Popolare e della sua intenzione di effettuare manovre belliche ai danni della Federazione.
Timori che hanno un’origine storica: già durante il periodo della guerra fredda i rapporti tra l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese non versavano in condizioni ottimali, arrivando addirittura, nel 1969, a combattere un “conflitto non dichiarato” della durata di sette mesi nella regione della Manciuria (dove i Sovietici avevano peraltro combattuto un conflitto simile con i giapponesi trent’anni prima). E anche all’indomani della caduta dell’Urss, le preoccupazioni della neonata (e fragile) Federazione Russa per un colpo di mano militare di Pechino nelle sue regioni orientali erano tutt’altro che inesistenti.
Una situazione che sembra essersi letteralmente capovolta in seguito all’arrivo al potere del presidente russo Vladimir Putin, promotore di un accordo di amicizia con la Repubblica Popolare firmato nel 2001 che avrebbe fatto da base per un costante riavvicinamento negli anni successivi, riavvicinamento culminato nella dichiarazione di una “partnership” senza limiti pochi giorni prima dell’invasione su larga scala dell’Ucraina nel febbraio del 2022 e nel successivo schiacciamento di Mosca su Pechino, come reazione al tentativo di isolamento economico-diplomatico del Cremlino promosso dall’Occidente.
Tuttavia, i documenti provano che il Cremlino non avesse (giustamente) deciso di dotarsi di piani di contingenza. In alcuni di tali piani si prevede un’offensiva cinese attraverso il Kazakistan, che potrebbe portare a colpire la Siberia occidentale e persino gli Urali. Ma in altri, risalenti al 2008, l’obiettivo finale della forza d’invasione è quello di conquistare l’estremo oriente russo. Vengono evidenziati anche i timori di Mosca per l’esigua diaspora cinese in Russia (meno di ventinovemila individui registrati nel censimento svolto nel 2010), che viene però rappresentata come un esplicito strumento di politica estera di Pechino.
Michael Kofman, senior fellow del think-tank Carnegie ed esperto di Russia, ha ricordato però che la “strada verso la guerra” nelle esercitazioni militari come quelle trattate nei documenti in questione è spesso “artificiosa, progettata per mettere alla prova la forza e preparare l’esercitazione. Non riflettono necessariamente ciò che viene valutato come la minaccia più probabile o realistica”. Ma una minaccia che va comunque considerata come eventuale.